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FEAR FACTORY

E' uno scenario davvero suggestivo quello che ci si presenta davanti arrivati al Chiostro di S.Agostino a Bergamo, dove si terrà la seconda data italiana dei Fear Factory; una collinetta erbosa in discesa conduce a un palco di discrete dimensioni coperto da un tendone, e dietro tutto ciò si staglia il bel panorama montano bergamasco. Davvero una bella cornice! Addirittura in anticipo sulla tempistica, sale sul palco il gruppo di apertura, i MELLOWTOY, band nostrana chiamata a sostituire i defezionari Dagoba; i sei ragazzi (bassista, batterista, chitarrista, due singer e un 'samplerista') si fanno portabandiera di una proposta musicale radicata nel rap metal, ma bastano pochi secondi per rendersi conto di trovarsi davanti ad una band banale e piuttosto fiacca, e la fredda risposta del pubblico non fa che confermarlo. I due cantanti (uno dei quali era un sosia perfetto, solo un po' più imbolsito, di Daniele Bossari) hanno movenze più adatte a saltimbanchi ubriachi piuttosto che a degli interpreti canori, e i balzi sul posto nei quali si producono insieme al povero chitarrista non fanno altro che renderli ancora più ridicoli; i brani si susseguono così fra la noia e la banalità, e sebbene le ultime tre canzoni risollevino di un pelo la qualità, non basta a compensare tutto il resto. Un concerto banale e noioso quindi, francamente evitabile e francamente fastidioso. Mentre il sole è ormai sulla via del tramonto, il palco viene montato per gli headliner, i FEAR FACTORY, assenti dalla penisola da tre anni, e tornati alla ribalta con un disco davvero all'altezza quale "Archetype"; c'è un'atmosfera di attesa spasmodica nell'aria, si sente che il pubblico li aspetta con ansia, e non potrebbe essere altrimenti. Poco prima che il concerto inizi, un ignaro passero appoggiato su una cassa ai lati del palco volerà via, come a presagire il massacro sonoro che si sarebbe scatenato di lì a poco; dopo una breve intro infatti i nostri salgono sul palco, a prima vista sciolti e di ottimo umore, con Byron Stoud degli Strapping Young Lad al basso. L'inizio è semplicemente perfetto: i primi sei pezzi in scaletta sono "Slave Labor", "Cyberwaste", "Demanufacture", "Zero Signal", "Shock" e "Edgecrusher"; cioè, roba da spaccarsi l'osso del collo senza possibilità di riscatto. Per quanto mi riguarda il concerto poteva finire in questo modo e sarei stato contento come un bambino, ma non è ovviamente così, e allora si continua. I suoni non sono il massimo, la chitarra di Christian infatti ha momenti di mutismo (ma quando si sente spacca il culo) mentre la voce di Burton è poco percettibile, soprattutto nelle parti pulite, ma alla band pare importare poco. I pezzi si susseguono velocemente con estratti dal grande "Soul Of A New Machine" (tra i quali spiccano la martellante "Martyr" e "Scumgrief"), totalmente ignorato invece "Digimortal", che comunque rimane un buon disco checchè ne dicano gli scettici, mentre il buon Burton intrattiene il pubblico tentando in maniera un po' maldestra di parlare in italiano. Dall'ultimo lavoro vengono eseguite anche "Act Of God" e la title-track, fra i momenti più emozionanti insieme alla meravigliosa "Resurrection", e la fine è vicina quando, prima degli immancabili bis, una versione devastante di "Replica" chiude le danze. Il commiato definitivo avviene su un palco illuminato a giorno, sopra il quale si staglia il solo Burton, a cantare una struggente "Timelessness" sulla base tastieristica; applausi da spellarsi le mani e un grosso brivido che scorre lungo la schiena, un arrivederci migliore non poteva esserci. Grande, grandissimo show, i Fear Factory stasera hanno dimostrato, a tutti, di essere una band metal coi controcazzi nel senso più puro del termine, cosa che il 99% dei gruppi power/defender non può certo definirsi. E affanculo gli assoli. Open Your Eyes FEAR FACTORY setlist Slave Labor Cyberwaste Demanufacture Zero Signal Shock Edgecrusher Scumgrief Dog Day Sunrise Act Of God Arise Above Oppression Pisschrist Archetype Resurrection School Martyr Replica Human Shields Timelessness

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