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INFECTION CODE

Ciao Gabriele. Spiegaci innanzitutto il significato del titolo del disco. Di solito le dittature sono molto silenziose, con l'azzeramento di ogni libertà, in primis quella di espressione... C'è un concept dietro ai sette brani che compongono 'La Dittatura Del Rumore'? Il titolo può assumere diversi significati nella nostra ottica artistica e concettuale. Abbiamo cercato di legare la parte musicale e quella lirica usando una parola un po’ scomoda e che possa dare qualche chiave di lettura diversa e lasci intendere ad approfondimenti diversi ed anche controversi. Non esiste un vero e proprio concept lirico, ma tutti i testi dell’album sono legati tra loro. Pensieri, riflessioni o semplici frasi che hanno un significato storico politico ben preciso, collocato in un periodo sociale e culturale che faceva molto rumore, qui in questa bistrattata penisola. Era il periodo del terrorismo e della strategia della tensione. Ho voluto soffermarmi su questo particolare scorcio perché è stato un frammento della nostra storia molto importante in primis e poi perché, oltre ad esserne un grande appassionato, ho trovato delle analogie concettuali con il rumore che produciamo. In quel periodo si lottava, si moriva, ci si scontrava con veemenza e passione per degli ideali, molta gente è stata uccisa. Urla di dolore, rabbia e disperazione. Quindi tanto, tantissimo rumore. Si combatteva una dittatura. L’Italia era governata dalla Democrazia Cristiana, la più grande dittatura politica messa in piedi dagli Stati Uniti subito dopo la seconda guerra mondiale. Queste considerazioni ci hanno portato ad individuare ‘La dittatura del rumore’ come miglior titolo per rappresentare il nostro delirante lirismo sonico. Il titolo è rappresentativo anche dal punto di vista musicale. Quando siamo in fase di composizione viviamo sotto una sorta di dittatura rumoristica. Perché la scelta dell'italiano, che al contrario di quanto si potrebbe pensare a primo acchito, nel vostro caso ha reso la vostra musica ancora più difficile? La scelta dell’italiano è stato un passaggio quasi naturale. Ci eravamo stancati di far passare i nostri messaggi usando una lingua non nostra. Per quanto una band non anglosassone sia brava con l’inglese non avrà mai la padronanza linguistica ed espressiva che può avere nell’usare la propria lingua. Poi volevamo davvero, che le liriche, visto l’importanza del messaggio, potessero essere intellegibili soprattutto tra gli ascoltatori italiani. Non è stata una scelta commerciale, ma artistica e culturale. Trattiamo temi che parlano dell’ Italia e certi termini solo in italiano hanno un loro significato ben preciso. Se posso permettermi non penso che la scelta dell’italiano ha reso la nostra musica più difficile. Ciò che esprimiamo è difficile di suo. Nasce difficile da ascoltare ed è quello che ci riesce meglio. L’uso dell’italiano, il modo in cui viene usato il cantato, gli effetti e le metriche sono un altro aspetto di quanto sia rumoroso, spigoloso e selvaggio il nostro suono. Come ultima cosa, l’uso dell’italiano fa parte della nostra voglia di non soffermarci solo su un colore musicale e cercare di sperimentare in ogni contesto. Questo non è esclusiva solo della musica. Il maggior uso di effetti sulla voce e l’utilizzo di un altro idioma sono due fattori che vanno a completare questa voglia di ricerca e di andare oltre. Per ogni nostra proposta ed uscita. Come é nato il video di "Vuotavertigine"? Pensi che possa ben rappresentare l'album o ci sono degli aspetti di questo che nella canzone non sono presenti? Il video è nato da un ‘idea di Ivan Ferrera, un artista e musicista della nostra zona. Oltre ad essere un nostro amico, ci ha sempre seguito e sostenuto. Sapevamo del suo incredibile e bizzarro lavoro con tutto ciò che è video, installazioni e macchine da presa, ed abbiamo pensato che il suo modo di lavorare sarebbe stato perfetto con l’atmosfera del pezzo. Gli abbiamo lasciato la massima libertà artistica e pensiamo che sia uscito un video che ben rappresenta il messaggio sonoro del pezzo. Siamo molto soddisfatti del suo lavoro. Il taglio del video è molto personale ed originale. Non è il classico video che ultimamente si vede sul tubo e su altri canali. Siamo estremamente soddisfatti e contenti. Chi sono per te Sacco e Vanzetti? Da quando mi sono imbattuto nel film ‘Sacco e Vanzetti’ di Giuliano Montaldo, tantissimi anni fa , ne sono rimasto affascinato e folgorato. Non conoscevo la loro storia nello specifico. Mi sono documentato, ho letto, fatto ricerche ed ho approfondito la tragedia di questi personaggi che hanno subito soprusi, abusi continuando a lottare per mantenere vivi i loro ideali di libertà e pace. E’ un discorso che va oltre la politica. Mi è sembrato giusto rendere omaggio, grazie anche ai miei compagni della band, a due personaggi che hanno pagato con la vita la loro coerenza etica e politica. Il sacrificio di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti va oltre l’anarchia, va oltre ad un ideale politico, va oltre l’ingiustizia. Il loro messaggio e quello che hanno subito nel corso della loro vita andrebbe insegnato a scuola. Penso che verrebbero meno tutti questi atti di intolleranza e razzismo soprattutto da parte di certi politicanti italiani che inneggiano a diversità e superiorità assurde di razza e provenienza. Sacco e Vanzetti per me sono caparbietà, onestà e tolleranza. Ci sono altri personaggi che emergono direttamente o indirettamente durante l'ascolto del cd? Esplicitamente nessuno. Le liriche del disco, a parte appunto il pezzo dedicato a Sacco e Vanzetti, sono riflessioni personali su momenti della nostra storia politica degli anni Settanta. Sono dedicati a tutte quelle persone comuni che hanno combattuto contro una dittatura politica, sacrificando affetti ed a volte anche la propria vita. Sacrificato energie per portare avanti un ideale di lotta. Non con la violenza. Ma ripagati con la violenza di uno stato che aveva paura di queste avanguardie. Spaventato dall’energia prorompente del messaggio. Impaurito, ha reagito con la violenza, uccidendo tantissime persone innocenti. Uccidendo per mano sua e armando la mano di qualche invasato. Non è facile fare delle distinzioni. Cadrei nella dietrologia più spiccia. Per approfondire, chi lo vorrà, potrà trovare tantissimi documenti e libri per schiarirsi le idee su cosa è stato quel periodo. Cosa è successo dopo la pubblicazione di 'Fine'?Come siete arrivati alla Argonauta Records? Dopo la pubblicazione di ‘Fine’ sono accadute un po’ di cose. Sono passati quattro anni. Anni intensi e non sempre tranquilli. Abbiamo suonato un po’, facendo fatica a trovare delle date essendo una band molto diy sotto questo aspetto. Continuando a comporre ci è arrivata la proposta della Subsound records per uno split album in compagnia dei Deflore. Finito di registrare i tre pezzi per lo split ci siamo ritrovati con il chitarrista che si è auto escluso dai giochi. In buona sostanza ci ha lasciato. Non ne conosciamo ancora il motivo, e sinceramente non c’interessa, ma la dipartita non è stata sicuramente amichevole e ci ha causato un po’ di problemi nell’ immediato. Avevamo delle date fissate da tempo ed un nuovo lavoro in uscita. Ha rischiato di buttare nel cesso la carriera della band. Quasi quindici anni di musica non potevano finire per i capricci di qualcuno. Ma a posteriori meglio così. Non volevamo mollare e chiudere tutto, perché ci sentivamo ancora di dover e voler dire qualcosa. Abbiamo trovato, fortunatamente una persona in pochissimo tempo che si è ambientato subito ed ha dimostrato quella professionalità e originalità che ci mancava da un po’ di anni. Paolo è stata la persona giusta al momento giusto. In un mese ha lavorato sodo per imparare tutto il nostro repertorio e poi ha contribuito tanto alla stesura del disco. Avevamo così i pezzi pronti. Conosciamo Gero di Argonauta Records da molto tempo, è stato il mio capo in Masterpiece Distribution ed è un mio caro amico. Quando ho saputo che aveva iniziato questo viaggio con Argonauta Records ci siamo fatti avanti… ed eccoci qui. Quali band della scena attuale senti più vicine al vostro spirito? Forse i Deflore, con cui avete condiviso uno split su vinile pubblicato dalla Subsound Records qualche tempo fa? Con i Deflore condividiamo una grande attitudine ed lo stesso modo di concepire il messaggio musicale e la ricerca. E poi con loro, oltre lo split della Subsound Records di qualche mese fa condividiamo anche la longevità. Abbiamo visto passare moltissime band nell’underground in questi quindici anni. Alcune valide altre, secondo il nostro modestissimo parere, meno valide. Pochissime stanno resistendo. Sfido chiunque a rimanere vivi per più di quindici anni in una situazione sempre precaria. Dove non esiste una scena, dove non esiste un appoggio concreto da parte delle istituzioni, dove non esiste una rete di agenzie e locali validi che sappiano valorizzare la musica e l’arte. In questo panorama desolante abbiamo visto nascere e morire una miriade di bands, che sul momento possono avere l’attimo di gloria, ma che poi al primo ostacolo gettano la spugna. Noi, pur non raggiungendo picchi di fama enormi in termini di vendita dei nostri lavori, e facendo enormi sacrifici, siamo ancora qui. E rimarremo ancora per molto tempo. Al momento ci sono alcune bands molto interessanti come i nostri compagni d’etichetta Shabda e Varego, ricordiamo con piacere i Cubre che aspettiamo al varco, solo si decidessero di riprendere l’attività, Marnero, Buffalo Grillz, Circular Sign(O), Lamantide, Remorse ed ultimamente ci hanno colpito due bands di giovanissimi. Little Boy Lost ed i Selva, che, personalmente mi auguro trovino qualche etichetta che investa su di loro. Per il resto vedo tanta voglia di mettersi in vista sui social network che su di un palco. Escono centinaia di band con un promo fatto in casa con la propria paginetta su face book bella figa, un sacco di amici degli amici, che si fanno i pompini a vicenda e pagano per suonare di supporto al primo nome straniero che arriva in Italia. Vedo promoters che creano scene fittizie tra queste bands e circoli viziosi dove l’ipocrita pacca sulla spalla è il metro di giudizio per definire il valore di una band. Vedo bands che fanno da promoters e agenzie che mettono su band e se la cantano tra di loro, portando anche la croce. C’è un po’ di confusione e pressapochismo. Ma d’altronde le mafiette in Italia non esistono solo nella musica. Vi ritenete una band metal, oppure questa etichetta non ha più senso giá da diverso tempo, per voi? Ci è sempre interessato poco etichettare la nostra musica. Saremo scontati ma è così. Non sentiamo la necessità di dare un nome a cosa suoniamo. Gli Infection Code sono nati per sperimentare all’interno della musica estrema. E per estrema non intendo il metal estremo, ma tutto ciò che è avulso dall’ essere fruibile alle masse. Ci piace combinare tante musiche tra loro seguendo il nostro istinto e la nostra passione. Fondamentalmente sono queste le prerogative che ci contraddistinguono. Aggiungendo anche una forte valenza di catarsi. Usiamo la musica per esorcizzare le nostre angosce e l’asprezza della vita che cerchiamo di glorificare su questa terra. Abbiamo attraversato generi, in modo obliquo, abbiamo interagito con l’elettronica, il noise, il grind il thrash metal, l’industrial ed il punk ma siamo sempre stati noi stessi. E soprattutto, come vedi il pubblico metal di oggi rispetto a quello del vostro esordio? Il pubblico è uguale che sia metal, che sia pop, che segua i rave. Sono un insieme di persone, con un unico punto in comune. In quanto massa sono soggetti all’omologazione ed allo stereotipo. Amiamo il metal in tutte le sue sfaccettature, anche extra musicali, come amiamo anche altre correnti musicali ma non sopportiamo le omologazioni e la massificazione. Il pubblico metal non si esclude da questo. Ed il metallaro è come un rapper o un punk. Segue dei codici. Segue la massa per identificarsi. Anche se oggi, rispetto a qualche anno fa, c’è più commistione di generi musicali e di etichette e i contorni sono un po’ più sfumati, questa settario schema stagnante stenta a scemare. Ed è un grave errore. Lo scambio culturale è minimo e quindi non porta ad una crescita artistica. Questo accade molto nell’underground, dove la compartimentazione di generi musicali è selvaggia. Ricordo una recensione di 'Intimacy' su RockSound, una bocciatura che comunque non ha ottenuto l'effetto sperato, perché poi il disco l'ho comprato e probabilmente è il mio preferito degli Infection Code. Quale valore dai alle recensioni? Saresti contento di una ipotetica critica entusiasta ma che magari non ha capito nulla del disco? Te lo chiedo perché effettivamente molti tuoi colleghi sembra che leggano solo il numerino del voto... Ricevere una recensione positiva fa sempre piacere, poi se le critiche sono costruttive ancora meglio. Anche se fosse negativa. Purtroppo oggi, nella maggior parte dei casi, molti cosi detti recensori, non ascoltano il disco, o meglio lo sentono, magari una volta o due e si permettono di scrivere. Il ruolo del recensore musicale, o critico musicale, assumeva , in passato un ruolo fondamentale. Ricordo con piacere le recensioni sulla carta stampata, che scrivevano con logica e senso critico di musica. Ora questo senso critico si è perso. Con l’avvento, anzi con il proliferarsi smodato di blog, social network tutti possono digitare dei tasti ma solo pochi sanno scrivere. E poi mi viene da pensare che sono veramente pochi a leggere ancora le recensioni. O meglio. Ad usarle come guida per l’acquisto di un disco. Si salvano solo qualche magazine e poche web zine. Comunque, preferiamo di gran lunga una recensione senza i voti. I numeri sono fuorvianti. Quali sono gli ascolti più frequenti in casa Infection Code? I nostri ascolti sono diversissimi. Sia perché ognuno di noi ha gusti diversi, sia perché ascoltiamo tanta musica. Ultimamente stiamo ascoltando molta roba di elettronica, l’ultimo Swans, Godlfesh, tanto noise rock e prog rock ed un po’ di vecchio thrash metal.

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