WINGER: Seven
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13/05/2023‘Seven’, un titolo potenzialmente importante se si pensa alla pellicola noir del 1995 diretta da David Fincher. Nel caso di oggi, si parla del nuovo atteso lavoro degli Winger, band che non necessita una presentazione tradizionale, nè in queste pagine, nè altrove, mi auguro. Kip e soci, in formazione stabile da anni e soggetta a poche variazioni, hanno abituato il fan ad attese medio-lunghe (quasi una decade è trascorsa da ‘Better Days Comin’), ampiamente ripagate da lavori di qualità, caratteristici, in grado di stupire e al contempo presentando dolci echi mai troppo invadenti del passato che fu. Il tutto caldeggiato da una dose di imprevedibilità, vuoi negli arrangiamenti piuttosto che nell’interpretazione di Kip, che rende la band di New York non solo un’icona del rock degli eighties, ma in addendum un esempio per le nuove leve in cerca di lumi a tutto tondo, longevi e solidi. Partiamo con “Proud Desperado” (co-scritta con Desmond Child), ovvero da tematiche oscure ed adrenaliniche presenti in ‘Karma’. “Heaven’s Fallin” rappresenta il connubio perfetto di un sound moderno con lo spirito ottantiano. “Tears of Blood” rimane tra le mie preferite sin da subito, parti strumentali epiche intervallate da vocal ruvide, coniate da una melodia incisiva e vincente. Reb Beach suona con la medesima eleganza il riff portante di “Resurrect Me”, memore degli esordi glam del gruppo, come il tema della scatenata "Stick the Knife in and Twist" (e qui ci avviciniamo non a caso agli ultimi Whitesnake). “It’s Ok” presenta il ritornello più debole del lotto; peccato, le armonie e lo svolgimento sono funzionali e ben si sposano all'intero playing di ‘Seven’. Belli i lenti, bagnati da una rugiada malinconica: “Do Or Die” (come mischia i generi Kip Winger, mai banale) introdotto da un azzeccato arpeggio si carica di grinta nel chorus per esplodere in un ritornello vigoroso. “It All Comes Back Around” può essere presa ad esempio come sorta di bignami della band: mostra l’epicità e la drammaticità; dinamica in lenta e costante risalita, tastiere di Paul Taylor rimembranti il periodo di “In The Heart Of The Young”, con un'outro esplosiva tra assoli e vocalizzi. Discorso simile per la commovente “Broken Glass”, intensa e disperata nel suo evolversi. Mai sono rimasto deluso da questo moniker, una band che ha saputo evolversi ed essere coerente al proprio DNA artistico, rimembrando gli esordi senza chiudersi a riccio sui soliti giri di accordi o sulle solite note cantate ad hoc per far presa faceile e rapida sull’ascoltatore. Forse il miglior prodotto a nome Winger dopo la reunion.
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