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VARDAN: The Woods Is My Coffin

data

08/04/2014
50


Genere: Black Metal
Etichetta: Moribund Records
Distro:
Anno: 2014

Torna alla ribalta il progetto Vardan. A pochi mesi dal precedente album, di cui vi abbiamo parlato a icembre scorso, ecco di nuovo il tizio di Catania che piazza un altro tassello alla sua carriera. La fattura di 'The Woods Is My Coffin' è identica a quanto sentito in '...dreaming... Living my funeral': non esattamente un punto di forza, anzi. Potremmo fare il copia e incolla della recensione di tale album, ma qui dobbiamo constatare che se dei passi in avanti si sono fatti in alcuni ambiti, la resa finale non risulta di livello. La magnifica copertina dice gelido black metal fino all'osso, con frequenti rallentamenti e attimi in cui il tempo dovrebbe fermarsi, sospeso nell'ansia. Non accade questo, la monotonia prende il sopravvento e la costruzione dei brani è troppo standard. La lunghezza delle tracce si sente tutta, quando le idee non sono fresche. Per buona parte dell'album, la voce col classico screaming domina la scena e questa mania di protagonismo non sempre riesce a coprire le deficienze del riffing. Certo, nel secondo brano ne abbiamo uno particolarmente malinconico e senz'altro le due "Dawn Of The Followers" hanno un loro perché nel condensare tutto quanto Vardan può dire, riuscendo a creare una atmosfera (ecco la parola chiave) assente nel resto del disco, mesta e agghiacciante. Recensione a cura di Francesco Fragomeni. Voto: 50 --------------------------------------------------------------------------------------------- Tira aria da Guinnes dei primati in casa Vardan, questo nuovo 'The Wood Is My Coffin' è il quarto studio album pubblicato in un anno, che si aggiunge ai tre full-length usciti dal Marzo 2013 a oggi. Tanta voglia di scrivere musica insomma, ma anche una certa carenza di ispirazione accompagnano il disco. D’accordo che il depressive è forse il genere più apatico e meno incline a particolare cambi d’umore o soluzioni, ma l’assenza di momenti profondamente angoscianti e capaci di affondarci l’animo sono il vero problema di un disco discreto e privo di momenti da ricordare, che si muove tra gli alberi morti e le nebbie tanto care a gente come Striborg e Xasthur tanto per fare qualche nome. I riff raw black metal si fanno lenti e insolitamente melodici in "Luciferian Assault" mentre nella successiva "Goatcraft", l’aggiunta di qualche synth avrebbe certamente donato un po’ di pathos al pezzo. Passaggi intensi molto pochi, anche nelle due parti di "Dawn of the Followers", per un disco come ce ne sono tanti nel genere. Recensione a cura di Giorgio Papaleo. Voto: 58

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