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SHADOWS OF STEEL: SECOND FLOOR

data

03/04/2003
65


Genere: Speed
Etichetta: Underground Symphony
Anno: 2003

Nel periodo tra il '96/'97 ed il '99/'00 ci fu il boom di un certo stile italiano di suonare metal. La melodia tipica italiana strizzò l'occhio al power/speed e da tale miscuglio, con l'aggiunta di forti dosi di sinfonia e pomposità, ne uscì fuori la New Wave Of Italian Heavy Metal. Di quel periodo ricordiamo i Rhapsody, i già avviati Skylark, i Labyrinth, i Vision Divine, i Projecto e gli Shadows Of Steel. I membri delle sopra citate band circolavano liberamente all'interno delle stesse per dar libero sfogo alla propria creatività e generare un certo tipo di scena che fosse riconoscibile anche all'estero. Gli album di debutto di tutte le band nominate furono veramente esplosivi ed anche se con fortuna differente, le stesse si ritagliarono uno spazio nel panorama classico europeo e mondiale, con conseguente affermazione del proprio nome. Gli Shadows Of Steel per varie vicissitudini, pur essendo una band validissima, non hanno mai compiuto il grande balzo come avvenuto per i "cugini" Labyrinth. Tale balzo doveva venire spiccato in concomitanza del successore dell'omonimo debutto...successore che giunge nei nostri lettori a distanza di 6 anni da quel mitico album. In mezzo abbiamo potuto solo assaporare dei frammenti di S.O.S. contenuti nei due mini del 1998 e del 2000 ("Twilight" e "Heroes"). Purtroppo, non credo che "Second Floor" potrà donare gloria a De Stefanis e compagni, innanzitutto perchè credo che il periodo glorioso dell'Italian Style sia un pò scemato e poi perchè ritengo che questo secondo full length compia un passo indietro rispetto a "Shadows Of Steel". Di tale problema hanno sofferto un pò tutte le band prima elencate non riuscendo a trovare buone idee per evolvere il proprio sound (fanno eccezione forse i Rhapsody, ma questa non è la sede adatta per intraprendere un tale discorso). Di per sè, "Second Floor" sicuramente è più maturo rispetto al suo predecessore, ma manca di quel pizzico di freschezza in più. E' un disco ben suonato, ben curato (Frank Andiver come produttore ed il lavoro di mastering dei mitici Finnvox Studios di Hesinki, sono delle grosse garanzie), ma il problema più grosso è che si è perso il tipico elemento caratterisctico degli S.O.S. e cioè i bei fraseggi chitarra/tastiera, le loro fughe a rincorrersi, la loro drammaticità. Tutto ciò coincide con l'assenza, in "Second Floor", di strumentisti di prima classe quali Olaf Thorsen e Vic Mazzoni alle chitarre e quel mostro di bravura di Andrew Mc Pauls dietro alle tastiere. Queste assenze pesano molto, soprattutto a livello di virtuosismi tastieristici. Per carità, sono buone le atmosfere ad opera dello stesso De Stefanis (fa un pò tutto lui!), ma l'alchimia di suoni ed emozioni del debut sono qui inarrivabili. Generalmente, il sound di questo nuovo lavoro degli S.O.S. si discosta da quel gusto progressivo dell'esordio, per approfondire maggiormente l'aspetto spedito e iper-veloce della maggiorparte dei brani. Tra i brani più veloci, emerge "Crying" che ricorda la vecchia produzione sia per le sue parti orchestrali che per gli interessanti intermezzi strumentali. Per quanto riguarda le canzoni meno spinte e più cadenzate, una menzione particolare meritano la maideniana "Distant Voices" (bello il piano, bella la coralità e la parte solistica) e "Dame And Lord" (interessanti i delicati inserti vocali femminili ed il pathos che trasmette). Infine, da ascoltare piacevolmente anche l'intro trionfale e sinfonico, "Prelude" e la ballad "Talking To The Wind" (ottimi gli inserti acustici ed il tipico piano malinconico degli S.O.S.). Per il resto, i rimanenti brani scivolano via un pò anonimi, buoni dal punto di vista tecnico ma senza elementi di spicco, distintivi o tipici e privi di spunti caratteristici. Tra questi, sicuramente di qualità inferiore è la power ballad "December" che risulta poco incisiva e bruttina. In conclusione, la seconda prova degli Shadows Of Steel risulta priva di quella forza che ci si sarebbe aspettati dal punto di vista emozionale. Nella composizione, i liguri hanno badato di più al concept alla base della storia narrata ed a ricercare potenza e velocità, trascurando la parte più preziosa del loro tipico sound, vale a dire il feeling.

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