NAPALM DEATH: THE CODE IS RED... LONG LIVE THE CODE
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03/05/2005Dopo la parentesi del cover album (il secondo “Leaders Not Followers”), i Napalm Death tornano a far male, riprendendo il discorso del devastante “Order Of The Leech”. La principale novità rispetto al lavoro del 2003 sta nella line up a quattro elementi, derivante dallo split col chitarrista Jesse Pintado… e questa è con tutta probabilità l’unica variazione di rilievo avvenuta in seno alla band da due anni a questa parte. Dal punto di vista musicale infatti, l’armata guidata dal carismatico Shane Embury prosegue la sua fiera marcia, macinando rabbia e impulsi distruttivi come pochi altri gruppi sono in grado di fare. Dall’opener “Silence Defeating” fino alla strumentale “Our Pain Is Their Power” sono quasi cinquanta minuti di estremismo musicale che si sviluppa nelle forme più violente e annichilenti del metal: dal grindcore di “Right You Are” al death più intricato di “All Hail The Grey Dawn”, che soffoca l’ascoltatore con un sistema di riff taglienti e spietati. Tra i migliori pezzi di questo nuovo capitolo targato Napalm Death, sicuramente non può mancare la title track, supportata da un incedere monolitico (merito di una sezione ritmica da incubo), e dal growling di un Greenway sempre perfetto, anche nei tempi meno veloci. Ma non vanno dimenticate nemmeno “Climate Controllers”, “Vegetative State” e “Pay For The Privilege Of Breathing”, perfetti esempi di come il suono della band si sia evoluto restando però fortemente ancorato ai vecchi tempi: i riferimenti al passato non mancano (per certi versi questo “The Code Is Red” mi ricorda molto l’altro grande masterpiece “Utopia Banished”), ma sono qui rielaborati in una chiave più attuale, che non snatura minimamente l’essenza bellicosa dei Napalm, e al contempo ne esalta la compattezza e la corrosività. A rendere ancora più intrigante la nuova fatica del quartetto inglese, concorre anche la presenza di guest illustri, che apportano il loro contributo alla causa duettando efficacemente con Barney Greenway: così abbiamo modo di apprezzare anche gli interventi di (in ordine di apparizione) Jamey Jasta (Hatebreed), Jello Biafra (Dead Kennedys) e Jeff Walker (Carcass). E non nego che risentire il rantolo di Walker mi ha donato dieci anni di vita, anche se lo scontro tra il vocione di Barney e l’ugola da cartone animato di Jello Biafra rimane un qualcosa di insuperabile. “The Code Is Red… Long Live The Code” è l’ennesimo riuscito capitolo di un gruppo che dai primi anni ottanta domina la scena estrema, con una coerenza e una forza che ne fanno oramai una leggenda vivente.
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