NAPALM DEATH: DIATRIBES
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28/02/2004La carriera quasi ventennale dei Naplm Death ha prodotto pregevoli release quali il debut “Scum” (1987), o il più recente e violentissimo “Order Of The Leech” (2002), ma purtroppo anche lavori meno degni come, appunto, “Diatribes”. Pochi sono gli episodi di questo lavoro che effettivamente riescono a dare un’idea della carica che i Napalm Death sono in grado di sprigionare: molti brani, invece, mostrano una band che sembra aver perso la vena creativa (se non il lume della ragione!). Dove sono finiti gli assalti spaccatimpani del passato? Dove sono finite le ossessive ritmiche tritabudella dei lavori precedenti? Dove cazzo è finito il death metal viscerale e incontaminato che aveva fatto grandi i Napalm Death a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta? Ora ci troviamo di fronte solo a riflessi del tempo che fu: le taglienti ritmiche death sono spesso sovrastate da soluzioni troppo moderne, troppo alternative, in definitiva, troppo lontane dagli standard a cui i Napalm Death ci avevano abituato. Ciò accade ad esempio in “Cold Forgiveness” e soprattutto in “Cursed To Crawl”, l’episodio in assoluto più negativo, dove viene alla luce in modo palese la scarsa vena del gruppo che, con le pile scariche, non può far diversamente che esplorare altri territori musicali, con risultati, ahinoi, disastrosi. Per trovare tracce delle tipiche sfuriate a là Napalm dobbiamo puntare la nostra attenzione a brani come la title track o la corrosiva opener “Greed Killing”, perché il resto per la maggior parte dei casi è davvero trascurabile. Ultime citazioni per “My Own Worst Enemy” che ha la particolarità di suonare come una canzone dei Sex Pistols con un arrangiamento più oscuro e per la prova vocale di Greenway, capace di mettersi in mostra ancora una volta con dei testi tutt’altro che scontati.
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