KYLESA: Ultraviolet
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08/06/2013Il passaggio da Prosthetic a Season of Mist non deve aver intaccato la creatività del quintetto americano che, a distanza di tre anni dal buon 'Spiral Shadow' e a quattro dall'ottimo 'Static Tensions', torna con un album sempre visionario e carico di potenza, come la loro più pura tradizione suggerisce da anni ormai. Il titolo del disco è senza dubbio un rimando alle atmosfere psichedeliche dei cinque, che mai come in questo episodio si caricano ma senza mai andare oltre. Nel saluto finale intitolato "Drifting" ascoltiamo una sorta di semi-ballad dal sapore acido, dal finale col botto...che lascia un leggero amaro in bocca. La voce di Laura è ottima per questo tipo di brani (anzi più in questi, che in quelli brevi e malati). La mezz'ora che ci riserva 'Ultraviolet' antepone sonorità dal ritmo deciso, con riff molto discordanti fra di loro (l'opener), ad altri sempre più dilatati, quasi ipnotici e dallo scheletro più robusto ("Unspoken", dal vago sapore prog/sludge). Presi anche stavolta nel far cadere in quei loro tipici tre minuti scarsi di durata di un brano, i Kylesa studiano ogni mossa lasciando che ogni interferenza faccia il suo danno tra le voce delirante di Phillip e il drumming, che a questo giro è sorretto dall'ex-Unpersons Carl McGinley. La differenza la notiamo nei momenti vuoti in cui cresce progressivamente anche una vena maggiormente southern. L'ultrasonica "What Does It Take" è breve, ma efficace. Interessanti gli spunti sull'insolita "Low Tide" e l'inquietante "Quicksand" che fa da introduzione all'ultima: tutti piccioli gioielli da assaporare man mano. Ad ascolto concluso più che un'esperienza uditiva si tratta di un viaggio, tutto ci risuona dentro come una grande festa. Due batteristi, due cantanti, brevi rintocchi rumorosi e melodie assordanti. I Kylesa ormai ci han preso gusto, e chi li ferma più!
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