JUDAS PRIEST: Firepower
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21/03/2018Senza dubbio 'Firepower' è quanto di meglio i Priest abbiano composto da 'Painkiller' a questa parte. Il titolo del disco parla chiaro: brani diretti e possenti come nella tradizione, intervallati da tracce più cadenzate, anche se non dispiacciono le sparute sfumature moderniste come in "Flame Thrower" dove, oltre al chorus geniale, le chitarre timbrano decisamente il cartellino negli anni 2000. Ma al di là di ogni valutazione stilistica, ben oltre la consapevolezza che siamo alla soglia ormai dei 50 anni di carriera, e tralasciando il personale pensiero fisso che vuole 'Firepower' come l'ultimo disco in studio della storia della band britannica (dopo la triste notizia che riguarda la salute di G. Tipton), è opportuno evidenziare quanto sia un album importante sul piano della qualità: "Firepower", "Lightining Strike", "Never The Heroes", "Rising From Ruins", "Traitor's Gate" e "No Surrender" sono canzoni che non si scrivono tutti i giorni, così marcatamente priestiane, contraddistinte da rasoiate feroci e da ritimiche ora cadenzate, ora sostenute, nonchè da quello spirito malinconicamente aristocatrico misto alla barbarie sonora e concettuale che più o meno da sempre rappresenta il marchio di fabbrica di Halford e soci. Non manca certo il mestiere, ed il supporto di Andy Sneap dietro alla consolle è sicuro di quelli fondamentali, però il gruppo mostra ancora i denti, grinta, energia, ed Halford se la cava ancora bene dietro al microfono (in studio, chiaro): non ti squarcia il petto come una volta, ma sa ancora graffiare a dovere. Un lavoro ispirato, dunque, che gronda di metallo fuso e di elettricità, di carisma e talento. Un disco che guarda al passato attraverso il presente, puntando in parte verso il futuro: come invecchiare senza "morire" mai.
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