IGGY POP: Every Loser
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18/01/2023‘Every Loser’ è uno scaraventare l’ascoltatore davanti allo specchio come strumento per relazionare con il Tempo. Per ciò che ci appare allo sguardo, esteticamente (pieghe, piaghe, rughe e cicatrici), e più intimamente per ciò che ci attraversa, inesorabilmente senza pietà, lasciando malumori, depressioni e sfiducia. È dunque lecito chiedersi se il Tempo è l’unica cosa che resta? Il Tempo come una buccia si apre e rivela. Ma Iggy reagisce così, con uno shock da Alice Cooper, per la prima fulminea traccia “Frenzy”, affidata completamente ad una linea di basso abrasiva di Duff McKagan (Guns N’ Roses, Velvet Revolver, Jane’s Addiction). Desiderio frenetico di provarci ancora una volta. Bentornato detroit sound (ma la mia sensazione è che manchi qualcosina). Loop new-wave con ritornelli dal tenore basso e controcorrenti agli squilli tastieristici di Josh Klinghoffer (Red Hot Chili Peppers), per “Strung Out Johnny”. Iggy si rivolge all’archetipo del giovane ragazzo, predisposto a mettersi nei guai (da innocenti evasioni a deragliamenti). Amara visione della città prostituta, Miami, in “New Atlantis” (echi di Donovan, 1968). Qui si alza il livello qualitativo del prodotto con quell’atmosfera che ho già ritrovato in ‘Earthling’ (ultimo progetto solista di Eddie Vedder, con Andrew Watt), per cori, suoni, combinazioni morbide di basso funky, alternate ad un uso delle percussioni tribali di Chad Smith (RHCP, Chickenfoot) dagli echi di capoeira, dai ritmi vividi alla Larry Fratangelo (forse è solo un campanaccio in acciaio, elettronico, ma ne apprezzo l’inserimento). Alla traccia “Modern Day Rip-Off” non le manca nulla! 270 battiti al minuto, quell’uso adrenalinico, rock&roll del piano (New York Dolls, The Rockets) e chitarre graffianti: l’Iguana shakera l’ascoltatore! “Morning Show” è un pizzicotto: racconta di come sentirsi giù di morale e mettersi addosso la faccia più bella possibile. Iggy scivola nel cantato e allunga ogni verso in strascichi di sillabe. Il suono è pulito e consente alla sua anima di trasudare, riaffiorare e trasbordare con un tono basso, strutturato, cruento, volutamente messo in evidenza dai livelli dei suoni rispetto alla magia degli arpeggi (Stones), e dei colpi di tempo; un organo in lontananza e voci femminili portano un po’ di colore ad una intima e stupenda ballata noir. Intermezzo sarcastico e provocatorio a metà disco: con il parlato di Iggy che sembra stia leggendo il giornale in “The News For Andy”, e con il mio criceto che corre spedito verso gli Stones di “Time Waits For No One” (Il Tempo non ti aspetta, passa, e aggiungerei, probabilmente, con la musica è l’unica cosa che resta). A questo punto Iggy, mi ricorda il superlativo nonno, scomodo, ma efficace di ‘The Tender Bar’, che sembra voglia riflettere sull’amara trasformazione del suo genere e sottogeneri punk fino ad oggi. E lo fa a modo suo! Due minuti e quindici secondi, volumi sparati al massimo per l’hardcore di “Neo Punk”, elevata dal suono speed-punk della batteria di Travis Barker (Blink-182) e risata finale. Garage rock dagli esordi Stooges per “All The Way Down”: riff distorto, solo di chitarra di Stone Gossard (Mother Love Bone, Temple Of The Dog, Pearl Jam) e forte equilibrio vocale tripartito in strofa alla Jagger, pre-ritornello Bowie e ritornello Jagger. Un omaggio alla dolorosa perdita di Taylor Hawkins che ha partecipato in “Comments”, e in “The Regency” ha registrato una brillante esecuzione alla batteria. Pertanto ‘Everly Loser’ è un disco autentico, perché scritto e composto da Iggy con la consapevolezza di essere in primis un settantacinquenne, e poi un’icona culturale (nel precedente ‘Free’ vestiva la parte di interprete). E lui si ripresenta così: ironico, decadente, ma nonostante tutto fiducioso nell’affidarsi nella collaborazione con un produttore dal marcato esordio Andrew Watt, seppur trentaduenne (Ozzy Osbourne, ‘Ordinary Man’, ‘Patient Number 9’), ed il cui parlato e cantato, con voce grave, è la perla di questo album.
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