GOD IS AN ASTRONAUT: Ghost Tapes #10
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23/02/2021Alle soglie dei vent’anni di carriera, il baluardo del post-rock internazionale, nonché una tra le più importanti band irlandesi in assoluto, i God Is An Astronaut, cerca di ripartire con slancio dopo un album sì buono come ‘Epitaph’, ma che ha lasciato un senso di amaro in bocca e di incompiutezza dovuti a soluzioni che si discostavano in maniera importante dal loro classico stile, ma che non sono risultate del tutto convincenti sino in fondo. La band dei fratelli Kinsella, dopo le (parziali) celebrazioni per i dieci anni di età dell’album più importante e più scintillante della loro carriera, ‘All Is Violent, All Is Bright’, tra i capisaldi del post-rock di sempre, culminate con la pubblicazione dell’edizione del decennale, a cui però non è seguito il tour celebrativo a causa della pandemia mondiale, e che si spera possa avere luogo nel 2021, si mette a lavorare al decimo album in studio, intitolato ‘Ghost Tapes #10’, probabilmente per celebrare proprio il traguardo raggiunto. E proprio con il decimo album, gli irlandesi decidono ancora una volta di rinnovarsi tornando ad attingere al loro passato più glorioso ed ispirato, mantenendo comunque alcuni spunti interessanti prodotti più recentemente, tra ‘Epitaph’ ed il precedente ‘Helios | Erebus’, in un concentrato musicale dove la qualità la fa da padrona ed i momenti per sognare e lasciarsi cullare sono ben presenti. In un’atmosfera oscura e grigia, sinonimo del periodo molto incerto che stiamo vivendo e rappresentato in qualche modo anche dall’aereo in posizione di picchiata posto in copertina, prende corpo “Adrift”, un brano molto aggressivo, dal vago sapore metal, dove però si inseriscono nei giusti spazi i passaggi classici in stile God Is An Astronaut. Su una falsariga simile, ma più incanalata verso l’immagine standard del post-rock, si inserisce “Burial”, primo singolo estratto dall’album, che consolida maggiormente lo stile tipico della band, tra fraseggi di chitarra taglienti e melodie tastieristiche d’atmosfera. Il tutto con un ritmo cadenzato che non tende mai a calare grazie all’ottimo lavoro alla batteria di Lloyd Hanney. Proseguendo con l’alternanza di rock più duro ed atmosfere più classiche, “In Flux” tiene botta in un album che sembra avere tutti i presupposti per essere tra i più convincenti della parte recente della loro carriera. “Spectres” mette in mostra l’aspetto virtuoso dei God Is an Astronaut, con fraseggi di chitarra densi di virate istantanee, immersi nel classico ‘wall of sound’ del post-rock. Il virtuosismo prosegue in maniera ancora più accentuata con “Fade”, altro pezzo forte dell’album; un brano che cresce a dismisura fino all’apoteosi sonora conclusiva, che dal vivo farebbe sicuramente sfracelli assieme alle loro classiche coreografie di luci, in un mix emozionale da perdifiato. Conclude l’album “Luminous Waves”, una dolce creazione in cui i protagonisti sono le corde di chitarre che toccano l’anima, e il violoncello di Jo Quail che circonda tutta la storia senza dare troppo nell’occhio, ma dando il contributo necessario ad un’atmosfera da assaporare ad occhi chiusi. Tra passato e presente, i God Is An Astronaut hanno saputo pescare e mescolare gli elementi giusti per costruire un album che si avvicina molto al livello di ‘Helios | Erebus’, che lascia alle spalle senza troppi rimpianti ‘Epitaph’ e che, con le dovute proporzioni e tenendo conto del livello di ispirazione che ha raggiunto e condizionato la band nel corso degli anni, se la può giocare con il repertorio più classico. Con la band in grande spolvero, ‘Ghost Tapes #10’ si candida quindi di diritto ad essere tra i migliori lavori post-rock del 2021.
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