ENZO AND THE GLORY ENSEMBLE: In The Name Of The Son
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08/11/2017AVVISO AI NAVIGANTI: Questo album non è da ascolto facile! Se non siete disposti ad ascoltarlo almeno sette volte, non andate avanti!
Il secondo lavoro di Enzo Donnarumma con questa strana e lunghissima line-up composta da mostri sacri, e per dare un po' di enfasi in più lo scriverò in maiuscolo, MOSTRI SACRI, ha quasi dell'incredibile. E se non li conoscete, vi consiglio caldamente una ricerca per singolo nome, e forse in un paio di settimane avrete letto tutto sui musici presenti in questo lavoro. Seguito concettuale di 'In The Name Of The Father', mescola talmente tanta di quella roba che lo ascolti e ti chiedi "ma che, davvero si potevano mettere insieme nello stesso pezzo?". E la risposta è ovviamente si. Ma non un si detto così, giusto per dirlo, ma convinto. E si potevano mettere pure nello stesso disco!
Darò una guida/recensione in punti, diversamente dal solito, perchè è un album diverso dal solito:
1- inizialmente, la prima traccia del disco ti fa dire un sonoro "eh?"; ascolti la seconda, la terza, la quarta e ti viene voglia di staccarlo, troppa roba insieme, troppi spunti, troppe sonorità che sono legate da distorsioni high gain e batterie possenti. Ma non lo stacchi, perchè la curiosità di capire dove quella "follia" partorita da Donnarumma vuole andare a parare. Senti elementi gospel, bellissimi, e senti elementi religiosi, archi e sonorità quasi da musica da camera, restando un attimo perplesso in maniera particolarmente piacevole sugli elementi di chitarra, non solo elettrica, messi lì, quasi come se fossero la cosa più semplice al mondo ("Glory To God" su tutte...), timpani che richiamano una epicità antica, ma dannatamente moderna. E poi d'improvviso, flauti! Sembra quasi che abbiano messo tutto nel calderone di una pozione sonora, e percepisci che si accende il fuoco sotto questo paiolo musicale.
2- al secondo ascolto, passatemi l'espressione un po' grezza, ti parte l'embolo della curiosità con la domanda "ma ho sentito bene? Non è che mi sono impressionato?", e quindi ripremi il tasto PLAY, con l'occhio malandrino e l'orecchio teso. E non sei nemmeno sicuro di aver sentito bene, perchè spuntano altri elementi che prima non avevi assolutamente notato: inserimenti di basso che diventano improvvisamente teppisti musicali, entrano in testa e cominciano ad amalagamarti il suono di ogni singola traccia, senti la musica classica e la lirica nelle scale e nelle voci di sottofondo, senti qualche armonia che richiama foreste e battaglie di matrice tolkeniana. E resti di nuovo con quella faccia da ebete a domandarti "ma è lo stesso disco che ho ascoltato prima?", e quindi....
3- ...ripigi avidamente il tasto PLAY! Devi accertarti che sia lo stesso disco, devi essere sicuro che non hai il neurone ballerino, che la tua capacità di comprensione sia ancora intatta e non ti stia venendo qualche strana patologia allucinogena uditivo-cognitiva. E lì, al terzo ascolto, senti ancora altro, che prima sembrava essere sul fondo, e invece comincia a dominare questa tracklist: le armonizzazioni di terze e quinte nelle voci, nelle chitarre, gli archi che diventano monumentali ed evocativi mentre prima erano solo là, ad aspettarti, a farti da tappeto per cullarti durante la durata del disco. E poi, come una carezza inaspettata, senti strumenti e scale di chiara maternità medio-orientale seguite da chitarroni cattivi e da ottoni. Si, prima ne avevi avuto il sentore, ma non così chiaramente e definiti. E ti ripeti ancora, "ma ho ascoltato bene?"
4- Ormai in preda ad una crisi mistica, stupri il tasto play per altre volte ancora, e cominci a capire il filo conduttore pienamente Metal Prog di questo album. Lo senti salire, lo senti scalpitare, lo percepisci nei poliritmi in contrasto tra chitarre e violini/fiati/sinth. E ti afferra la melodia che precedentemente non toccavi, e ora diventa quasi materica, orecchiabile e presistente. Percepisci l'amalgama, la assaggi quasi con quella sensazione di gustoso sulla lingua, senti che diventa un corpo unico, capisci che questo disco ha talmente tante tematiche, sia sonore che testuali, sia tecniche che mistiche (se non si fosse capito, il disco ha come filo conduttore una tematica religiosa...), senti il lavoro di ricerca, vedi in piena crisi mistica la visione dei vari membri della line up in una sala di registrazione con un'aura dorata attorno che sudano pentagrammi, e li riversano in una release che ha del monumentale.
Ma non è esente da qualche difettuccio, purtroppo. Per quanto questo album sia davvero potente, abbia profondità e gusto, sia un meraviglioso ricamo diagonale tra diversi generi e tutti molto ben connessi tra loro, i livelli della registrazione non sono il top: le voci di ogni traccia non sono omogenee, in alcune tracce droppano di volume più di una volta, o sono eccessivamente predominanti, nascondendo la musica dietro, o semplicemente non si percepiscono bene, facendo diventare eccessivamente invadente la musica ricca di distorsioni quasi un problema per chi vuole capire il cantante, o i cantanti visto che sono molte voci tra il coro gospel e i vari lead singer presenti nella formazione, cosa stia facendo e come stia usando lo strumento voce in una amalgama musicale così particolare e ben tessuta. Questa piccola pecca si ripercuote su tutti i livelli di tutti gli strumenti, purtroppo. Ma non è nulla che non si possa tranquillamente bypassare e dopo un paio di ascolti non ci si fa nemmeno più caso.
Detto ciò, tiriamo le somme: un voto decisamente alto, molto, per un lavoro monumentale, che ha profondità, pieno di spunti e concettualmente molto valido. Di sicuro non è un album che si trova facilmente in giro nel panorama musicale contemporaneo, con una tematica trait d'union su tutte le tracce e che lo lega alla precedente uscita, e che fa sperare in una terza release a tema per chiudere la Trinità di questro progetto che ha ancora qualcosa da dire, e che vogliamo ascoltare.
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