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Dushan petrossi's iron mask: Shadow Of The Red Baron

data

30/03/2010
60


Genere: Neoclassic Power Metal
Etichetta: Lion Music
Distro:
Anno: 2010

Il quasi quarantenne Dushan Petrossi, ennesimo axeman clone di Yngwie Malmsteeen, torna dopo cinque anni a riproporre un lavoro targato Iron Mask. Come per i più noti Rising Force il genitivo sassone, usato dal virtuoso delle sei corde belga a precedere il nome della band, sta a rimarcare l'assoluto prevalere della sua figura rispetto agli altri componenti meri esecutori della volonta del compositore. 'Shadow Of The Red Baron', secondo lavoro targato Lion Music, si attesta sugli stessi standard qualitativi dei lavori precedenti con in più un sensibile miglioramento in fase di produzione (naturalmente, come Malmsteen comanda, saldamente in mano al Petrossi). Registrato, o forse meglio dire assemblato tra l’Olanda, la Svezia, la Germania e la patria del mastermind, il terzo lavoro vede un assetto della formazione pressoché inalterato a parte il cambio di batterista, e la sostituzione del virtuoso dei tasti d’avorio Richard Andersson con l’altrettanto bravo Andreas Lindahl. Inutile segnalare il fatto che gli Iron Mask suonino come gli attuali Rising Force (o i Reign Of Terror di un altro noto clone Joe Stump), con alcune punte di gustoso retrò dei fasti ottantiani della band ("Sahara"), mentre mi preme tessere qui le lodi del vocalist tedesco Oliver Hartmann che svolge un pregevole lavoro sia ai cori che nelle poche apparizioni come lead singer. Hartmann, ugola coinvolta in numerosi progetti oltre che in una già avviata carriera solista, è forse proprio il fattore che fa la differenza in un lavoro simile a tanti altri anche se viene utilizzato da Dushan Petrossi più che altro per tessere sontuosi cori piuttosto che per il cantato solista affidato alla voce graffiante, ma poco potente di Goetz "Valhalla jr" Mohr. Da ascoltare l’evocativa "Forever In The Dark" dotata da un chorus degno dei migliori Therion (pur non potendo godere dello stesso numero di coristi coinvolti), e che spicca tra le undici tracce in quanto ad originalità (non a caso è stata scelta come singolo supportato dal relativo video). Se in "We Will Meet Again"e nella successiva "Universe" la differenza tra omaggio al chitarrista svedese e mero plagio si fa davvero sottile, la calda voce di Hartmann nobilita l’ordinaria ballad "My Angel Is Gone" e un po’ tutto il lavoro cresce nel finale. Non c’è molto altro da aggiungere. Un disco ordinario di power neoclassico come se ne ascoltano tanti e curato anche questa volta graficamente dal noto Eric Philippe (Rhapsody Of Fire, Ring Of Fire, Iron Fire, etc.), che svolge anche lui il suo bravo compitino.

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