DOMKRAFT: The End Of Electricity
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02/11/2016Non è la prima volta che ci accingiamo a recensire un gruppo proveniente dalla terra del ghiaccio e della neve, e ben sappiamo come la scena Scandinava, ed in particolar modo la Svezia, sia una terra feconda sotto il punto di vista musicale, anche per dare i natali ad una nutrita schiera di gruppi dediti a sonorità stoner e doom/psych. La band che ha il suo quartier generale in quel di Stoccolma, esordisce con questo primo LP, 'The End Of Electricity', dopo un omonimo EP dato alle stampe nel 2015 che aveva offerto un gustoso antipasto delle capacità del terzetto svedese che si destreggia con disinvoltura nei territori catramosi dello stoner più ortodosso. La band in questione fa della rabbia e del nichilismo sonoro i suoi punti di forza, adoperandoli come mattoni per edificare un muro di decibel compatto, energico, anche e soprattutto nei momenti più lenti che strizzano l'occhio al doom più mesmerizzante. "The Rift" è la sintesi di quanto appena espresso, un monolite di oltre 10 minuti, pesante, rabbioso, dall'incedere lento e deciso; si capisce fin da subito l'influenza che devono aver esercitato per questi tre ragazzi i maestri sacri dello stoner/doom come Kyuss ed Electric Wizard su tutti. Il pezzo in questione funge da paradigma dell'intero album, difatti le medesime strutture vengono riprese anche in altri brani, come in "Read Lead", quarta traccia del platter che si fonda su un riff ruvido, dalla distorsione satura, che si rincorre in modo ripetitivo generando una spirale ossessiva tanto quanto il latrato di Martin Wegeland. Pregevoli e sicuramente ben riusciti anche i capitoli più introspettivi e mistici del platter, che pur mantenendo quel forte impatto sonoro, si distinguono dagli altri pezzi del disco; mi riferisco in particolare a "Meltdown Of The Orb", pellegrinaggio attraverso le atmosfere rarefatte accompagnato da una linea vocale che per l'occasione diventa simile ad un sussurro lontano, proveniente da un'altra dimensione dove tutto è deserto e raso al suolo come in uno scenario partorito dalla mente di George Miller. Sulla stessa scia si colloca "All Come Hiter"che estremizza più il lato mistico introducendo melodie dal sapore orientale che si impastano nelle intricate e iperdistorte trame intessute dal duo Widholm/Wegeland che viaggia in piena sintonia. Proprio l'ottima sintonia tra basso e chitarra favorisce la costruzione di riff pesanti e duri come un pugno allo stomaco che si trascinano pesanti e costituiscono la caratteristica ed il punto di forza di questo disco che ha però al suo interno anche delle tracce che provano a rompere gli schemi, offrendo soluzioni melodiche diverse. E' così che veniamo spiazzati da "Drones", una traccia strumentale di pura atmosfera con lementi drone e "Dustrider" che consiste in un mid tempo di quasi tre minuti con un riff interessante che punta sull'impatto breve ma intenso, che brucia velocemente senza lasciare scampo all'ascoltatore. Di certo questo non è un disco che fa gridare al miracolo o brilla per originalità, ma sicuramente è un disco genuino e ben suonato nel quale il power trio svedese sfodera tutte le armi del proprio ricco arsenale compositivo.
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