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DINO FIORE: FLEUR FOLIA

data

05/03/2013
72


Genere: Jazz Fusion
Etichetta: Ma.Ra.Cash Records
Distro:
Anno: 2013

Per chi non lo sapesse Dino Fiore è lo storico bassista dei Castello Di Atlante, gruppo progressive piemontese che negli anni '70 non ebbe particolare fortuna! Difatti il gruppo entrò in sala d'incisione solamente negli anni '90 pubblicando dischi (per altro ottimi) in modo discontinuo. Partendo dalla sua passione per il jazz ed il free jazz, Dino Fiore mette assieme tanti piccoli quadretti di musica strumentale che costituiscono l'intera ossatura di 'Fleur Folia', un disco piacevole, ben suonato, e di grande esperienza. Oltre alle abilità del musicista (coadiuvato per l'occasione da altri suoi amici strumentisti) è da segnalare anche l'incredibile rilassatezza e suggestività di alcune composizioni che rendono l'ascolto sicuramente appagante! Il brano iniziale, "Crepuscolo Mediorientale", sembra riassumere perfettamente quanto detto poc'anzi, con tastiere quasi ambient e New Age che cullano l'ascoltatore in territori inesplorati, mentre già con la successiva "Walking In Nagoya" l'artista piemontese decide di entrare subito nel vivo dell'azione proponendoci un brano di stampo fusion corredato da squisite trame strumentali (mai invadenti) di saxofono, tastiera e basso, con ritmiche che mutano piano piano quasi come se non volessero dare fastidio. Senza esagerare si potrebbe definire come un connubio tra i nostrani Perigeo e le atmosfere tanto care all'americano Pat Metheny. Si da anche spazio all'elettronica e agli effetti "dilatati" sia in "Tower In The Sea", sia come nelle cinque parti di "Bassfolia", quest'ultima particolarmente interessante perchè mette in mostra diverse tecniche di basso usate da Dino Fiore, variando quindi di brano in brano. Le composizioni quindi variano molto, presentando brani più atmosferici sommati ad altri più articolati e frizzanti come "Sahara Coffee", sostenuto dall'ottimo basso di Fiore e dal brillante Hammond di Giuseppe Crovella, sempre molto esuberante ed articolato come da buona tradizione jazz. Sono da segnalare anche i brani cantati (costruiti per lo più su vocalizzi ed esperimenti vocali vari), come la bella "Moonless Land", impregnata da effetti di basso e strati vocali sempre molto presenti, o la discreta "Voice Without Time". Gli altri brani proseguono sempre su queste linee guida, snocciolando uno stile preciso, pulito, e assai equilibrato. La produzione del disco è molto pulita e laccata, il che non è necessariamente un male (visto che il genere proposto richiede pulizia e precisione strumentale), ma va anche detto che per alcuni potrebbe risultare forse un po' fredda, se non addirittura distaccata. Questo lavoro, in sintesi, potrebbe essere visto sotto svariate ottiche. Potrebbe essere visto come un progetto fatto da amici per assecondare il proprio divertimento sotto un unico denominatore comune (leggasi jazz), oppure come un manuale jazz utile a chiunque voglia imparare o capire questo genere. La verità probabilmente sta nel mezzo.

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