COUGH: Still They Pray
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04/06/2016A sei anni dall'ultimo full length che ha riscosso notevoli consensi tra gli appassionati del genere, ecco ritornare la nube fumosa e narcotizzante dei Cough, compagine a stelle e strisce che ha guadagnato in poco tempo un posto di rilevanza all'interno del panorama sludge/doom, tanto da essere stata accalappiata dalla Relapse Records, etichetta che ha lanciato sul mercato quest'ultima fatica 'Still They Pray', prodotto sotto l'egida di una delle personalità di spicco all'interno del panorama, Jus Osborne degli Electric Wizard. Il disco è caratterizzato, come il genere vuole, da distorsioni sature all'inverosimile, montagne di fuzz e wha acidi e urlanti. Si va dalla rabbia blasfema di "Possession" dove un Parker Chandler particolarmente ispirato recita con voce straziante un lento sabba psichedelico, al doom di stampo più tradizionale in "Dead Among The Roses" che ripesca sonorità più comuni ai Saint Vitus di "I Bleed Black" e "Psychopath" rivisitate in chiave ancora più oscura e pesante, inoltre non si possono non notare le assonanze con "Legalise Drugs and Murder" degli Electric Wizard. Il comune denominatore del disco in ogni caso è da cercarsi nelle ritmiche lente, gravi ed ossessive, nonchè nelle atmosfere chiuse ed asfissianti che trovano piena realizzazione in pezzi quali "Haunter Of The Dark", dove la voce filtrata e le chitarre acide e riverberate conferiscono al brano una pesantezza tale da togliere il respiro, o in "The Wounding Hours" che riprende il cantato lacerante e violento di "Possession" elevandolo ad un vero e proprio inno alla decadenza. All'interno del disco trovano spazio anche momenti più malinconici che sfociano in brani quali "Let It Bleed", mid tempo che si avvicina a sonorità più rock alternative, e la title track che riprende i canoni della ballad acustica, dove la chitarra gioca un ruolo primario intessendo con la voce una tela di desolazione, dove gli accordi si trascinano stanchi e mesti alle battute conclusive del disco. A spezzare il ritmo del disco, merita una menzione particolare la riuscitissima traccia strumentale "Shadow Of The Torturer" dal sapore prog-rock anni 70, dolce, sognante "come vino d'argento versato in nave spaziale", per citare un noto capolavoro della cinematografia di quegli anni. Seppure il quartetto americano ci aveva abituato a standard musicali sostenuti fin dal primo full 'Sigillum Luciferi', non abbiamo timore ad affermare che con questo ultimo lavoro la band può essere inserita in quel pantheon di "intoccabili" del genere, senza timore di sfigurare nemmeno al cospetto di band con più anni d'esperienza sul groppone.
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