ALTAAR: ALTAAR
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14/03/2013Criptica, minacciosa, avvolta in quella scala di grigi che tutto suggerisce tranne che sonorità del genere: la copertina è già arte a sé. Dal canto loro gli Altaar arrivano al traguardo del disco di debutto, e lo fanno con gran classe riuscendo a raggiungere, come ci spiegano nella biografia, un diverso approccio alle sonorità heavy. Piuttosto che doom e "semplice" psichedelia, il lavoro dei norvegesi sembra un rituale senza sosta, dove ogni nota viene plasmata e dilatata fino allo sfinimento. L'omonimo album si divide in soli due capitoli, che hanno prima come intento dare il benvenuto in modo pacifico, con poche distorsioni, e un tappeto sonoro privo di veri e propri assalti sonori. "Tidi Kjem Aldri Att" esplode solo in parte, lasciandosi colpire da lievi sussulti di natura doom/drone. Giusto a metà strada, le chitarre si uniscono in un unico wall of sound con gli effetti, innalzando una coltre di nebbia che ci accompagna fino alla conclusione del brano. Raggiungiamo così territori cari a band come Goatsnake, dove il doom viene imbastardito da rallentamenti e soluzioni che danno ai musicisti le sembianze di portatori sani del più puro malessere in musica. Il secondo brano "Dei Absolutte Krav Og Den Absolutte Nåde" tocca quasi il quarto d'ora, ed è forse quello in cui viene messo maggiormente in mostra la vera anima della band. O tutt'altra band? In chiusura, infatti, ascoltiamo un'altra faccia degli Altaar, dei pazzi che giocano col postcore, chiudendo questo trip malvagio con una coda di soli feedback. Immaginiamo che in sede live ci sarà da divertirsi.
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