ABRAMELIN: DEADSPEAK
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02/01/2010Arrivare al Canto del cigno dopo soli due album è una vera tristezza, però questo è il destino di tutte quelle band, sia pure capaci, che restano misconosciute ai più proprio perchè restano fenomeni undergound. E' il caso, ahinoi, degli australiani Abramelin, uno di quei grupponi ipercoerenti e nel contempo bravissimi che rendono tanto felici noialtri amanti del metallo della Morte. I problemi di produzione del disco precedente sono stati ampiamente superati in questa sede e anche lo stesso sound è senz'altro più interessante, nonostante le sette tracce scarse. Il sound si è fatto più robusto e floridiano, con evidentissimi richiami alla ferocia dei Deicide, anche se il pesante groove che accompagna il tutto fa venire in mente i riccioli al vento di Trey Azgathoth. Come nel disco precedente, i pezzi sono dominati da un cupo e furioso riffing che cambia tempo di continuo, ora picchiando forte sui timpani, ora imprigionando l'ascoltatore in quattro mura granitiche e sulfuree, impregnate di malate melodie ("Waste", "Bleeding Hearts"), ma i momenti di purotecnica devastazione non mancano, e l'opener "Pleasures" ne è testimone, insieme all'ottima "Your Casualty". Ma la vera perla è la lunga e articolata "Plague", un'estatica quanto malata escursione groove-melodica, dove la chitarra acustica e il violoncello spalancano le porte per un viaggio in mid tempo verso una terra che si dimostra violenta e carezzevole allo stesso momento. Insomma, un disco spaventosamente bello, potente e colpevolmente sottovalutato.
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