SCHAMMASCH + CULTUS SANGUINE + SWARM CHAIN
Il mese di maggio al Legend Club di Milano si traduce, come ormai da parecchi anni a questa parte, in Rock In Park, rassegna che vede all’opera band underground italiane tra le più in voga al momento, associate a nomi di spessore internazionale più elevato ed in grado di mietere e riscuotere un successo consolidato negli anni. Nella serata di sabato 13 maggio, grazie al lavoro organizzativo di Cerberus Booking che, nel metal estremo assume da tempo un ruolo di prim’ordine nell’offrire band e suoni che trasmettono gelida rabbia, sul palco milanese fanno capolino gli elvetici Schammasch, che dopo la pausa forzata caratterizzata dalla pandemia, danno sfoggio finalmente ai brani dell’ultimo album ‘Hearts Of No Light’, datato ormai 2019. A supporto della loro esibizione, scendono in campo due band formatisi in due epoche diverse, ma accomunati dalla stessa passione per l’occulto: gli storici Cultus Sanguine, ripartiti da qualche tempo a farci riassaporare la loro sinistra malignità dopo un lungo silenzio, ed i piacentini Swarm Chain, che sono praticamente al loro debutto.
Arrivamo al locale quando proprio gli Swarm Chain stanno già suonando (contrariamente a quanto riportato negli orari prestabiliti). Nella manciata di minuti a loro disposizione, mettono in mostra un doom metal dal vago sapore epico, con l’accoppiata voce pulita e frammenti di growl, in una costruzione sonora piuttosto discreta, sufficientemente ritmata, ma non tale da suscitare forti entusiasmi. I brani che formano soprattutto l’EP di debutto ‘Looming Darkness’ risultano buoni, ma non gridano al capolavoro, e comunque la band ci mette tutto il suo impegno per renderli al meglio e cercare di costruire un’atmosfera adatta alla serata, in una cornice di pubblico che comunque risulta ancora un po’ scarsa.
Quest’anno ricorre il trentennale della fondazione di un nome che è un autentico culto nella storia del metal occulto italiano. I Cultus Sanguine, in occasione proprio di questo avvenimento, hanno deciso tempo fa di ricominciare la loro avventura e di far rivivere un po’ di sana sinistrosità, che è sempre stata il loro cuore artistico. La presenza dominante, sia fisicamente che musicalmente, del frontman Joe Fergieph non lascia indifferenti e dona la giusta carica alla performance, felicemente accompagnata dalle gesta della band, con suoni particolarmente precisi e freddi alla temperatura giusta, e quindi vicini al gelo. Le atmosfere create dalle tastiere di Rex Nebulah contornano in maniera completa l’intera melodia dei brani, dando giovamento ad una prestazione che si rivela convincente in maniera piena, ricevendo l’apprezzamento del pubblico che, nel frattempo, è leggermente aumentato. Probabilmente si era capito che c’era bisogno che certe realtà tornassero a fiorire come un tempo, facendo riemergere un sottobosco che, negli anni passati, si distingueva per qualità artistica e per immaginario lugubre.
In questo cammino lento ed inesorabile verso l’aldilà, con un audience che finalmente ha raggiunto numeri non straordinari, ma comunque convincenti, le luci gradualmente si sopiscono e la nebbia si addensa, quando sul palco si materializzano gli Schammasch. E l’atmosfera di colpo si fa ferale, con la ruvidezza della voce di C.S.R. a fare da richiamo estremo e da guida ad un black metal che contamina a più riprese la modernità che questo genere ha ricevuto negli ultimi anni a livello di sound, ma che in fatto di cattiveria ed aggressività non abbassa il livello, anzi lo consolida l’asticella del pathos ben dritta e gelida. Quando le ritmiche si fanno più serrate, quando i colpi di batteria si susseguono ad alte frequenze, gli Schammasch giocano duro e si lasciano andare nel loro andamento naturale, acquisendo malvagità a dosi massicce. Nell’ora abbondante di setlist, ovviamente buono spazio lo occupa l’ultimo ‘Hearts Of No Light’, che caratterizza soprattutto la prima metà del loro set che raggiunge il culmine nel loro brano probabilmente più rappresentativo dell’album, ovvero “The Paradigm Of Beauty”, con l’epicità di C.S.R. che si distingue favorevolmente, pur mantenendo ed anzi accentuando una rilevante dose di ruvidità che ha caratterizzato gran parte della sua performance. A seguire, si fa un viaggio a ritroso della loro discografia, con “Metanoia” (da ‘Triangle’) a fare capolino nell’aria che ormai si è fatta densa di black metal. Come una band estrema che si rispetti, pochissimo spazio viene lasciato a convenevoli ed intermezzi di interfaccia col pubblico, lasciando invece parlare, come giusto che sia, la serietà della musica e l’aggressività dei volumi. E su questo, gli Schammasch hanno giocato un ruolo da protagonisti della serata, avvolgendo, in un tempo che sembrava infinito, il locale di un’aura di mistero dal quale potevamo intravedere sparute luci qua e là, che non erano delle vie di uscita, ma dei segnali che comunicavano la retta via da seguire. La via dell’ignoto.
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