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CELESTE

A distanza di tre anni dalla data saltata all’ultimo momento per motivi mai chiariti, il 22 settembre approdano finalmente a Roma i Celeste, combo francese di postcore/black metal per i quali il pubblico nutriva grandi aspettative. Per celebrare degnamente la serata, l’organizzazione ha voluto esagerare con ben quattro formazioni nostrane a supporto, espressioni di differenti generi musicali, ma accomunate da un minimo comune multiplo: tutte estremamente valide ed il pubblico non si è fatto pregare: club pieno al limite della capienza nel quale non mancavano volti noti della scena estrema capitolina. Chiediamo venia ai Seventh Genocide, ma non abbiamo fatto in tempo a vederli, quindi la nostra rassegna parte dai Tibia che annoverano nella proprie fila Daniel Casari (che poi siederà dietro il mixer in occasione del set dei Celeste, con risultati straordinari), già singer della formazione djent/grind Onryo; anche in questa veste il grind la fa da padrone; il batterista, particolarmente dotato si è messo in mostra con stacchi tiratissimi e tumpa tumpa classici, ed una formazione molto coesa ci ha ricordato il grind/death/crust putrido di formazioni storiche quali Carcass, Napalm Death non disdegnando puntate hardcore sulla scia di Sick Of It All e Agnostic Front. Gran bella scoperta.

Seguono i doom/sludgers Naga da Napoli, che con la loro inesorabile lentezza e volumi inumani ci hanno asfaltati vivi facendoci capire cosa significa l’ipnosi derivante dai riff reiterati e paranoici; il loro doom rievoca la pachidermica lentezza dei St. Vitus rivisitata in chiave sludge degli Iron Monkey, mentre minori sono le influenze black metal in sede live rispetto ai dischi. Inesorabile il cantato simile a chi è prossimo alla fine della vita; peccato per il sound privato dei bassi terremotanti che hanno dimostrato di possedere nelle altre occasioni in cui li abbiamo visti. Restano un ensemble molto valido ed un gran bel devastarsi.

Veniamo agli headliner. Dopo aver sistemato la strumentazione sul palco i quattro francesi hanno chiesto di non fumare in sala durante il set, hanno fatto spegnere le luci e siamo rimasti al buio con l’unico riferimento dato dai laser rossi che partivano dalla testa di ogni membro della band; un'atmosfera infernale pari al sound monumentale e terremotante che le tre chitarre (due più basso) e la batteria in perenne doppia cassa hanno tirato fuori. Il singer è dotato di uno screaming con pochi eguali, sembrava un demone sputato dall’inferno e catapultato sulla terra a dimostrare tutta la rabbia di cui è dotato ed a strappare brandelli di vita ai malcapitati. Postcore filtrato da un approccio black metal ed in più di uno dei brani eseguiti ci è sembrato di ascoltare i patterns dei nostri Lento nei primi lavori. Solo in un occasione hanno rallentato i ritmi ed è venuto fuori un sound industrial immane che per pochi attimi ha concesso respiro alle nostre povere orecchie. L’espressione nei volti del pubblico accorso è stata simile a quella delle scimmie di fronte ai monoliti del film ‘Odissea Nello Spazio’ di Stanley Kubrik: incredulità. Demolenti e demoniaci.

Chiudono la kermesse gli Hate & Merda i quali, dopo la tumulazione subita dalle band precedenti, purtroppo non hanno avuto l’attenzione che avrebbero meritato, colpa di un fisiologico calo dell’attenzione e dall’ora molto tarda in cui si sono esibiti (circa l’1.30), così che abbiamo subito un po’ passivamente il set dei fiorentini fautori di un black avantgarde sincopato e recitato, di non facile fruizione. Ci preme rivederli in altra occasione con una maggiore forza fisica, mentale ed auditiva a supportarci. Un elogio al management che ha organizzato la serata per la qualità della proposta.

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