THREESTEPSTOTHEOCEAN
Tra le realtà più potenti del post-metal italiano, i lombardi Threestepstotheocean tornano dopo cinque anni a pubblicare un nuovo atteso album. In questo grigiore odierno, 'Del Fuoco' vuole accendere la speranza di una prospettiva migliore, partendo dagli aspetti più intimi dell'animo umano e raccogliendo in profondità tutti i lati positivi da poter esternare. L'occasione della pubblicazione di 'Del Fuoco' per Antigony Records è stata utile per raccogliere pensieri e parole da parte di Francesco, Giacomo e Davide, che hanno cercato di entrare nelle viscere dell'album per poter raccogliere le idee della loro musica e del mondo che li circonda.
Ciao ragazzi. Sono passati cinque anni dalla pubblicazione del precedente ‘Migration Light’. Quali sensazioni positive vi ha lasciato quel disco, e come avete trascorso questi anni fino alla pubblicazione di ‘Del Fuoco’? Francesco: Ciao. 'Migration Light' lo abbiamo suonato in lungo e in largo. E' un disco per noi di svolta, nel senso che ci siamo sentiti per la prima volta molto “dentro” un nostro lavoro. Questa sensazione la stiamo provando anche tuttora con 'Del Fuoco' ed è la cosa più importante. Questi cinque anni li abbiamo passati lavorando, un paio di noi figliando, un altro paio di noi imbarcandosi in altre attività. In generale barcamenandoci come chiunque tra mille cose, casini, cose buone e cattive, tenendoci sempre uno spazio per suonare in mezzo al caos.
Gli album precedenti sono stati tutti contrassegnati con titoli di brani in inglese. ‘Del Fuoco’ cambia registro e presenta titoli tutti in italiano. Qual è il motivo di questa scelta? Giacomo: 'Del Fuoco' per noi è un disco molto “personale” in cui le nostre esperienze, vite, conflitti, visioni come band e come individui emergono visceralmente. La maniera più intima per raccontare questo aspetto era scegliere la nostra lingua madre, e questo è anche frutto di cinque anni in cui la band stessa ha affrontato un percorso trasformativo verso un suono sempre più libero dalle etichette e sempre più personale. Infine è anche una questione di “suggestività”. Personalmente, da ascoltatore, sono sempre affascinato dalle band non anglofone che scelgono di mantenere la propria lingua. E’ affascinante prendersi del tempo per tradurre e speculare sui significati di titoli o testi specie quando si tratta di “lingue minoritarie”, ma molto dense a livello di significati potenziali.
Questa scelta si è ripercorsa anche nel vostro sound? Come si sono create, nel tempo, queste nuove canzoni? Francesco: Di base, come negli altri dischi: provando sempre, registrando tutto, riascoltando, poi scegliendo, tagliando, ristrutturando le parti fino ad avere pezzi di musica organica che stessero insieme. E’ un processo lungo, ma abbiamo sempre fatto così, mi verrebbe da dire che non conosciamo altri metodi.
C’è un brano che può fungere da guida a tutto l’album, quello a cui avete pensato fosse quello su cui poggiare le basi per lo sviluppo di ‘Del Fuoco’? Davide: “Canto ai vivi + Dal Deserto”. Su disco le abbiamo suddivise per dare un nome, per identificare due momenti, ma per noi è sempre stato un unico brano. E’ la traccia d'apertura del disco. Non è il pezzo che abbiamo composto per primo, tantomeno per ultimo, ma è di certo una struttura sulla quale abbiamo lavorato per molto tempo, talvolta lasciandola in pausa per concentrarci su altro, e dopo un po' riprenderla per portare al suo interno nuove idee. Abbiamo scelto di inserirlo in apertura proprio perché la sua lavorazione è iniziata prima di ogni cosa e forse è davvero terminata poco prima dell’ingresso in studio.
Cosa rappresenta il Fuoco per voi in quest’album? Francesco: Qualcosa di imprendibile, ingovernabile, salvifico, distruttore; di vitale, mortale, di caldo, di passato, futuro, di un’idea di passaggio temporale, di una fase. Ha davvero molte accezioni.
L’immagine del fuoco, però, sembra cozzare con il grigio paesaggio periurbano raffigurato in copertina. D’altro canto, fa capolino una volpe in primo piano. Potrebbe essa rappresentare la visione del fuoco in mezzo a questo grigiore? Giacomo: E’ una bella immagine! Diciamo che hai colto quello che per noi è il senso di quella copertina, dell’intero artwork e della musica che ci trovi dentro. Ovvero la possibilità per l’ascoltatore di perdersi nei contrasti, di provare a riallacciare i fili, trovare i suoi simboli, abbandonarsi al racconto di un viaggio senza logiche. Il disco è sicuramente una storia da raccontare, ma non c’è trama. Il fuoco è lì, ma non è “il fuoco”. E' “del fuoco”, qualcosa che ha a che fare con esso, con i suoi infiniti valori simbolici, sia a livello di tradizioni, miti, riti, suggestioni. Ognuno di noi ha la sua immagine del disco, della sua copertina e delle possibilità simboliche che scatena. Per quanto mi riguarda ho sempre visto quella volpe a metà, malandata e inquietante, irrompere nello scenario per guidare l’ascoltatore nel suo viaggio verso quella struttura bianca, un monumento funereo. Da lì si entra, si scende nel profondo, si incontrano figure, suoni, colori e forme. Da lì ci si deve perdere, accettando di lasciarsi trasportare in un racconto senza logiche.
Il grigiore della copertina potrebbe accomunarsi al grigiore odierno dato dalla crisi sanitaria in corso, ed a tutto il corollario di restrizioni che ne è scaturito? Suppongo che questo difficile periodo sia coinciso con la conclusione dei lavori del nuovo album. In generale, le sensazioni avute in questo periodo sono state tutte negative, o sono state uno spunto di riflessione per cercare di avere delle risposte positive nel futuro? Francesco: L’album in realtà lo abbiamo terminato a gennaio, non c’è quindi un legame diretto tra quest’opera e quanto abbiamo vissuto tutti da fine febbraio 2020 in poi. 'Del Fuoco' è stato scritto in un arco di tempo molto lungo, cinque anni, e ne è uscita una linea di tensione costante, che evidentemente è lo specchio di ciò che abbiamo vissuto in questo lungo periodo, di un sentimento molto profondo. Di come poi gli avvenimenti globali si sono intrecciati all’atmosfera del disco, direi che è un fatto casuale.
Credo che una label come Antigony Records vi conosca da tempo, dato il sound che avete sempre proposto. Come si è sviluppata questa collaborazione? Davide: Sì, esatto, i ragazzi ci hanno contattati sin dai tempi di 'Migration Light', quindi cinque anni fa. Il disco non era ancora ufficialmente uscito ma avevamo già stretto accordi quindi, per quella volta, non se ne fece nulla. Ci siamo ripromessi però di risentirci con un nuovo disco in cantiere, e così è stato. Siamo andati in studio, abbiamo mixato il disco e prima ancora di mandarlo in mastering, se non erro, lo abbiamo spedito a loro e la risposta (con proposta di collaborazione) è stata immediata. Abbiamo lavorato intensamente insieme in questi mesi per preparare l’uscita, siamo molto contenti del lavoro che hanno svolto ma in particolar modo abbiamo subito stretto un grande feeling umano. Questo è per noi davvero importante.
Tornando all’attuale periodo, come sono andate avanti le vostre attività collaterali? So che voi collaborate con realtà interessanti come il Circolo Gagarin di Busto Arsizio. Come sono andate avanti le attività del circolo, e quali sono le prospettive di un ritorno ai concerti su quel palco? Francesco: Sì, insieme a molte altre persone due di noi sono direttamente impegnati in forma volontaria all’interno del Circolo Gagarin, che come molti altri spazi si è dovuto re-inventare, modificando spazi e modalità di partecipazione. Riguardo le attività, concerti e molto altro, stiamo appunto provando a riadattarle ai protocolli sanitari, cercando di rispettarli al massimo. Per i concerti, tutto diventa più difficile perchè si riducono capienza e quindi sostenibilità economica. Ma sicuramente torneremo, seppur senza fretta, a occuparci anche di musica. Abbiamo retto l’urto del lockdown con l’aiuto dei soci e ora sembra un po’ di ricominciare da capo, speriamo di farcela, il futuro prossimo degli spazi aggregativi è sicuramente in salita, ma siamo in tanti, la musica non è che una parte dell’esperienza, e ce la faremo.
Sembra chiaro che il post-rock/metal sia un po’ uno stile di vita per voi, oltre che per la label. In generale, cos’è il post-metal per voi? Che sensazioni vi dà suonare questo tipo di musica? Francesco: Per noi non c’è davvero nessuno stile di vita legato ad alcuna etichetta di genere a cui attenerci. Con il passare del tempo ci siamo “definiti” sempre meno in questi termini, cercando di andare in una direzione che sentissimo musicalmente nostra, che ci facesse respirare e ci emozionasse. La linea è sempre stata solo questa. Ci servono meno definizioni di genere, meno nicchie, in favore di più contaminazione e ascolto.
In conclusione, forniteci un buon motivo per ascoltare e seguire i Threestepstotheocean, e per ascoltare ‘Del Fuoco’. Coloro che hanno apprezzato quanto abbiamo fatto nei dischi precedenti, in 'Del Fuoco' troveranno sicuramente nuovi elementi e qualcosa in più. Chi ci ascolta per la prima volta, si armi di un po’ di curiosità e voglia di perdersi, non serve altro.
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