VAST: NUDE
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29/12/2004Arriva il momento, nella carriera di un'artista (...ma più in generale, di un essere umano, direi!) in cui egli deve fare i conti con se stesso. Spesso, il risultato di questo viaggio interiore è un drastico cambio di rotta nella vita. Jon Crosby, con questo suo terzo album, "Nude", vuol mettere al corrente l'ascoltatore della sua personalissima crisi di identità e di ciò che è venuto dopo che la sua persona ha deciso di mettersi in gioco. Lasciata la cara e corrotta California, Jon si è auto-esiliato nel deserto del New Mexico dove, a contatto con se stesso, ha dato vita ad una trentina di nuove canzoni, di cui 12 (14 per l'edizione europea) vanno a far parte del menzionato nuovo suo disco. Tagliati i rapporti con la sua vecchia band, con la label, con il manager, Jon si mette a 'nudo' e cimenta in un nuovo approccio musicale diretto ai sentimenti. La sua musica parla di amore, bellezza e dolore, parla dell'intimità di se stessi, dell'impurità che pervade l'essere umano e propone una lettura di quello che può essere il processo di purificazione. Per "Nude", Crosby fa tutto da solo, dal creare e suonare la musica, al cantare le canzoni, al produrre e mixare l'album, intendendo con questo, offrire uno spaccato quanto più fedele possibile del suo animo-spirito del momento. Nelle varie canzoni si percepisce chiaramente un largo uso di suoni elettronici e campionati ed una grossa parte degli effetti di tal tipo è dedicata alle voci. Come detto, Crosby canta da se tutto l'album ma a livello vocale si affida anche a tutta una serie di voci di gente comune, da lui raccolte in giro per il mondo ed inserite, in modo organico, nei punti giusti dei vari brani dell'album. Il risultato di tutto quello che si è detto è una musica triste e cadenzata, vicina ad essere eterea, vicina alla word music, con varie reminiscenze 'alternative', con un pesante bagaglio dark e rock-wave. A voler trovare un termine di paragone, in molti passaggi si viene proiettati in un certo sound a-la U2 tranquilli e vecchio stile. In generale, spiccano le sonorità intimiste anche se alla lunga la noia prevale su ogni altro sentimento. A livello di canzoni, si può certamente dire che esse non sono affatto brutte, anche se credo si debba dedicare al disco un ascolto più che approfondito, per potersele far entrare in testa e gradirle in modo adeguato. Tra le tante, da segnalare la opener "Turquoise", elettronica e ritmata song dedicata agli indiani d'America; a seguire "Thrown Away", accattivante, tribale e molto rock-wave oriented, "Don't Take Your Love Away", deliziosa sad-ballad con un pregevole giro di piano. Dopo le menzionate canzoni d'apertura, la qualità dell'album scade un pò, attestandosi su brani che oscillano tra il sufficiente ed il 'troppo personale'. In definitiva, si tratta di un disco discreto che con qualche idea meglio interpretata avrebbe potuto essere un vero capolavoro...la prossima volta Jon, ridurrei la permanenza prolungata nel deserto e manterrei le idee un pò più fresche.
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