UNERASE: OWN UNIVERSE
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17/12/2006Gli Unerase sono un quintetto ucraino attivo dal 1997, alla loro seconda release dopo il debut “New Reality” (1999). La band si presenta come Progressive Metal, definizione alquanto vaga ed a mio parere ben poco adatta, se si considerino le palesi influenze che costituiscono il nocciolo attorno al quale il sound del gruppo si è sviluppato. L’ascolto di “Own Universe” infatti lascia ben poco di inatteso, ricordando di volta in volta i Sepoltura del periodo di “Roots”, gli In Flames di “Clayman”, i System Of A Down di “Steal This Album”. In sintesi, un discreto crogiolo di cose già sentite, miscelate secondo un gusto commerciale discretamente accattivante: in pratica un ascolto gradevole ma tutt’altro che innovativo, caratterizzato da una continua ricerca di potenza di impatto raramente raggiunta, come se i Fear Factory avessero avuto le batterie scariche. Disco non brutto, per carità, ma assolutamente non in grado di stupire o di fornire un adeguato innalzamento dei livelli di adrenalina nell’organismo dell’ascoltatore: si assesta lì, a metà strada tra il coinvolgente ed il banale, continuando a gridare “sto per bussare alla porta del tuo lato più istintivo e brutale”, ma senza avere il coraggio di abbassare il batacchio dopo averlo sollevato. Le capacità tecniche ci sono, il gruppo suona bene e non scrive male; la produzione è certamente all’altezza del prodotto, ma a parte un paio di pezzi come “Sense Of Life”, che peraltro affascina un poco prevalentemente grazie alla particolarità di alcuni passaggi vocali ma nulla più, l’ascolto dell’intero disco procede senza salti o picchi, né in positivo né in negativo (eccezion fatta per la conclusiva “Sleeping Deeply”, che ho trovato decisamente pesante da digerire): siamo tra gli ignavi danteschi, tra coloro i quali non hanno saputo o voluto compiere scelte. Inutile non aver peccato, se lo si è fatto per l’incapacità di scegliere. Suppongo che “Own Universe” possa avere anche dei buoni riscontri in fatto di vendite, ma per quanto mi riguarda le considererò esclusivamente come la conferma della tendenza di una parte del pubblico verso l’accettazione dei cliché di mercato, senza ricerca di un qualcosa di un minimo particolare od innovativo.
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