REVELATIONS OF RAIN: MARBLE SHADES OF DESPAIR
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24/02/2008Ascoltare oggi i Revelations Of Rain, un duo di polistrumentisti che derivano dalle ceneri degli Ocean Of Sorrow, inevitabilmente mi fa pensare alla loro terra, la Russia che, data l'attuale situazione geopolitica, che mi riporta alla mente le prime mosse del primo conflitto mondiale. La cosa mi scuote e mi fa ascoltare con un nuovo filtro l'album in questione, 'Marble Shades of Despair'. In realtà la scelta di cantare in russo, e di scrivere qualsiasi titolo o informazione all'interno del booklet in russo e in alfabeto cirillico (per comodità il nome della band, del disco e dei brani li abbiamo riportati in inglese) è un segno di attaccamento alla terra del tutto significativo per una cultura da sempre preoccupata a giustificare e supportare la difesa del territorio come imperativo assoluto. L'intransigenza e la gelosissima chiusura dei Revelations Of Rain è lo specchio di una Russia sempre intenta a proteggersi e ripiegarsi da qualsiasi influenza esterna, avvertita come pericolo o minaccia. In realtà la band suona proprio come la paranoia che si fa musica, e al dilà dei paragoni facili dai My Dying Bride agli Swallow The Sun, quello proposto è un death/doom estremamente denso e intriso di un convulso e malaticcio senso di crisi, il che sa di romantico e di decadente al tempo stesso; senza mezzi termini, una bella mattonata di 54 pesantissimi minuti, così massiccia da rendere quasi impossibile una discussione che diversifichi la trattazione dei singoli pezzi, così intricati, e tanto fitti di intrecci quasi narrativamente impostati. Ma forse una prima chiave di lettura è proprio questo andamento melodrammatico, quindi estremamente diacronico dello sviluppo sia dei testi sia della musica, ovviamente del tutto incline alle mutevoli e talvolta inaspettate giravolte, con uno spiccato gusto progressive abbastanza classico e una autentica e raffinata propensione per gli arrangiamenti sinfonici, sfumati di neo-barocco. Ma il blocco marmoreo estremo ed essenzialmente nordico del duo russo, che sa benissimo aggredire nelle epiche litanie di un tragico visceralmente toccante, sa anche come plasmare con rigore e con delicatezza queste contraddittorie ma omogenee sensazioni e stati d'animo, in una serie di trucchetti di formidabile riuscita, specie col ricorso all'elettronica, ai suoni sintetici, a quelle a tratti subdole e in certi momenti dominanti melodie, quell'abbondanza corale dei suoni, a tratti glaciali, a tratti gotici, con chitarre estremamente liquide e dinamiche, in un continuo assolo, quel basso sempre presnte e soffice, talvolta protagonista, persino slappato, che ammorbidisce e amalgama l'aspro e doloroso contenuto in una costruzione sinuosa e longilinea, libera da estremismi, e completamente incentrata sul sentimento e sulle emozioni forti.
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