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GUTTURAL: CROSS WORDS WITH US

data

14/05/2004
70


Genere: Power Metal
Etichetta: Steel Born Records
Anno: 2004

Strana uscita questa dei francesi Guttural. Praticamente il lavoro di un solo uomo, il proverbiale "illustre sconosciuto" Ludovic Van Lierde (qui in veste di chitarrista, bassista, cantante, unico compositore e produttore), se ne escono con questo "Cross Words With Us", una bizzarra operazione discografica che contiene sia il proseguo del loro esordio "Set Swords To Music", dell'anno scorso, sia una riedizione di un lavoro solista di monsieur Van Lierde chiamato "Heaven Host" o qualcosa del genere, risalente addirittura al 1999. Ora, anche se è legittimo chiedersi che differenza ci sia tra due progetti solisti dello stesso personaggio, lasciamo da parte queste quisquilie e passiamo direttamente alla recensione. Il lavoro dei Guttural veri e propri (sempre se ho ben capito) è qui rappresentato dall'opener, la suite "The Fourlowing" (il succitato seguito del disco precedente), e parlare della musica dei Guttural diventa subito difficile: i nostri incorporano svariate influenze in una canzone estremamente lunga (14 minuti e passa). Si va da riffoni US power influenzati dai Savatage, a strani e disarmonici arpeggi sulla scia dei Manilla Road più lugubri... una sorta di US metal elaboratissimo e tecnico (il brano è ricco di tempi dispari e di linee melodiche quantomai inusuali), che però non riesce a convincere in pieno... troppa carne al fuoco? Probabilmente. Oltretutto, a vanificare gli sforzi ci pensa l'interpretazione vocale di Van Lierde, davvero troppo innocuo e melodico, quando non addirittura lagnoso, oltretutto fornito di una pronuncia dell'inglese che al confronto Biscardi è il Principe Carlo. Tralascio ogni commento sul testo, una delirante analisi romanzata dell'attuale scena hard & heavy in Europa. Insomma, possiamo sperare che si tratti di una fase di passaggio (qualche buon passaggio, soprattutto all'inizio, c'è), ma di strada da fare per tentare di dire qualcosa di nuovo e dirlo bene ce n'è da fare ancora parecchia. Una simpatica intro medievaleggiante apre invece la seconda parte del disco, quel progetto solista risalente al 1999 che vedeva il nostro prode Ludovic impegnato con una musica molto più semplice e decisamente più efficace! Lo stile del galletto in questione allora era improntato a un power/epic bello tosto, melodico ma molto potente (simile per certi versi ai nostrani Domine), e spesso anche piuttosto originale grazie a melodie non proprio scontate come ci si potrebbe aspettare (ad esempio il ritornello della conclusiva "Vikand"). Anche qui la sua voce rappresenta un problema.... certo, non annoia come nella precedente suite, ma nemmeno riesce a farci fare i salti di gioia. Nei frangenti più melodici soprattutto il disco non riesce a prendere il volo, risultando fin troppo scialbo e stinto, anche per orecchie avvezze allo stile. In ogni caso, buoni pezzi come "A Star in A Rainbow" o l'epica "Distant World" potranno interessare chi vuole qualcosa di diverso dal solito powerone teutonico senza troppo allontanarsi dalle coordinate dello stile. Permane comunque una sensazione di ambigua stranezza difficile da spiegare, dovuta senza dubbio ad inusuali accorgimenti melodici che si distaccano forse fin troppo dallo stile, a volte riuscendo a convincere, altre un po' meno... ma in ogni caso rivelando che non si tratta del solito dischetto usa & getta con qualche draghetto come contentino. Chi ha orecchie per intendere, si accomodi.

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