SIGH: SCORN DEFEAT
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19/03/2009Strana la storia dei Sigh, a vederla così oggi. È stato detto di tutto su questa band, soprattutto per quanto riguarda il loro brusco cambiamento nella loro proposta musicale, che da psichedelica e totalmente acida nel suo incedere, lenta e inaspettatamente violenta, diventa più netta, precisa: con suoni sempre all’avanguardia e violenza gratuita mai scontata. Nel loro sound troverete metal estremo, così come incursioni jazz, innesti progressive e sfuriate maideniane in chiave estrema: il loro pregio sta nel riuscire a calibrare tutti gli elementi della Musica, così come tanti altri artisti giapponesi sanno fare, con un’eleganza unica. Il loro difetto: forse ancora da definire? Accontentano sempre tutti, mettendo pace tra le varie discussioni dei metallari di tutto il mondo: esistono e sempre esisteranno i conservatori (sia del loro sound, che della musica estrema in generale) e poi come già detto, bene o male ogni loro disco è sempre un chiodo fisso, nella lista dei dischi di fine anno. Niente da dire, inoltre e ovviamente, sulla preparazione dei vari musicisti, che ha visto il primo apice con "Hail Horror Hail" per poi definirsi meglio con quello che tanti definiscono il loro capolavoro: 'Imaginary Sonicscape'. Il loro viaggio però comincia nel ’93, quando alla pubblicazione di 'Scorn Defeat', i nostri hanno comunque spaccato in due un certo modo di vedere il black metal (perché questo è SD: il black, visto dai Sigh, niente più, niente meno). "A victory of Dakini" poggia un tappeto di chitarre sporche su una base di basso minimale. I ritmi sono lenti e perdono sempre più velocità con alcuni breaks semi-melodici. "The Knell", sembra uscita dalla penna di Hannemann/King, un brano inusuale, spezzato da vari riffs acerbi, e un sottile tappeto di tastiera sognante, mentre "At My Funeral" cammina ossessiva con un leggero tocco epico. Sei lunghi minuti, ci separano dal secondo lato "Violence", infatti a chiudere il primo (Revenge Side), tocca alla strumentale "Gundali". Qua le tastiere sono lo strumento predominante, così come l’aurea malinconica che si disegna nel brano. Un po’ deludente "Ready For The Final War", troppo lunga e monotona, mentre leggermente più sopra le aspettative è "Weakness Within", violenta, ma con una struttura un po’ deboluccia. Il debutto dei giapponesi risente di una staticità di fondo che in ogni caso non ascolteremo più dal prossimo lavoro in poi.
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