SABBATH ASSEMBLY: Rites Of Passage
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03/05/2017Ritornano a due anni di distanza dal precedente omonimo disco i Sabbath Assembly con un nuovo ispirato LP intitolato 'Rites Of Passage' tutto incentrato, come in una sorta di concept, sulla rappresentazione in musica di quei momenti di passaggio o fasi transizionali presenti lungo quel tortuoso percorso che altro non è che la vita umana. La fonte di ispirazione è da cercarsi nelle teorie dell'antropologo Arnold Van Gennep che definiva "riti di passaggio" tutti quei rituali che consentivano il passaggio di un individuo da uno status socio-culturale ad un altro. Il disco in questione non è altro che la rappresentazione di queste fasi viste dal punto di vista personale dei cinque membri della band; potremmo definirlo un esperimento empirico delle dottrine antropologiche cui abbiamo accennato, una summa di esperienze che in un modo o nell'altro hanno lasciato un segno, in alcuni casi delle cicatrici, nell'animo dei cinque artisti. Da ciò che abbiamo appena detto possiamo ricavare già che il taglio dato a questo disco è sicuramente un taglio personale e sicuramente "reale", che si allontana dallo stereotipo "fantasy" e dal misticismo filosofico (e poco materiale) presente in tantissimi lavori di stampo occult rock. Balza alle orecchie fin dalla prima traccia il piglio prog più marcato rispetto al precedente lavoro che conferisce al sound quel tocco di modernità. "Shadows Revenge" infatti è un connubio ideale tra vecchio e nuovo; la linea vocale risente dell'influenza del filore occult rock degli anni 70, mentre la parte strumentale ricorda quei tecnicismi alla Megadeth di 'Rust In Peace'. Ma le intenzioni del platter si fanno immediatamente chiare già dalla seconda traccia che invece tradisce influenze spiccatamente doom che si rifanno al sound dei padrini Black Sabbath. L'atmosfera calda e intimistica nella quale il disco sinuosamente si muove è creata ad arte dall'interpretazione teatrale e recitativa di Jamie Myers, il cui carisma ed espressività vocale ricordano molto quelle di Kristina Esfandiari dei King Woman, soprattutto in brani quali "I Must Be Gone" e "Does Live Die"; quest'ultima particolarmente avvolgente con le sue parti sognanti acustiche che formano un tappeto sonoro sul quale poggiano le ispirate liriche della frontwoman. La crepuscolare "Twilight Of God", segnante il rito di passaggio che definisce probabilmente la perdita della fede religiosa, rappresenta il punto oltre il quale si snodano due brani conclusivi caratterizzati da una intensità del ritmo capace di scuotere l'ascoltatore svegliandolo da quel torpore mistico con il quale era stato mesmerizzato; parliamo di "Seven Sermons To The Dead", brano dal ritmo più veloce ed incalzante rispetto ai precedenti, più simile alla opener, e "The Bride of Darkness", interessante mid-tempo dal sapore epico nel quale si intrecciano riff orientaleggianti dal sapore prog. Sicuramente siamo al cospetto di un disco di non facile assimilazione, e che come accade per opere simili ha bisogno di più di un attento ascolto per riuscire a cogliere le sfumature ed i colori che sono alla base della proposta musicale offerta dai nostri, ma mai come in questi casi possiamo dire che la pazienza viene ripagata.
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