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PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS: The Age Of Absurdity

data

29/01/2018
75


Genere: Hard Rock
Etichetta: Nuclear Blast Records
Distro:
Anno: 2018

La dipartita del buon vecchio Lemmy ha reso tutto il popolo del Rock un po' più orfano e soprattutto i suoi fidati compagni di battaglia delle ultime decadi. Uno di questi è il fedelissimo Phil Campbell che ha militato "alla destra del padre" con la sua ascia per oltre un trentennio e ora, all'indomani della conclusione di questa magnifica esperienza chiamata Motorhead, raccoglie i cocci, si rialza dopo l'evidente batosta e mette su un nuovo progetto con la sua "bastarda progenie" al fine di evitare uno sprecato pensionamento anticipato. Avevamo già potuto pregustare qualcosa con l'omonimo EP del 2016 nel quale il quintetto scopriva le carte presentando al pubblico le linee guida del nuovo progetto a conduzione famigliare (fatta eccezione per il cantante Neil Starr, unico componente esterno alla famiglia Campbell). L'intera compagine si presenta subito come una fresca e vigorosa hard rock band che pesca un po' dalla tradizione ma che strizza anche l'occhio verso le sonorità più moderne dell'hard rock di matrice europea. I pezzi sono di breve durata, su una media dei tre minuti e colpiscono dritti al bersaglio, niente fronzoli nè orpelli di sorta, solo ventate di hard rock che nelle intenzioni ricordano l'attitudine festaiola e un po' sleazy di gruppi quali Hardcore Superstar o Odcult, basterebbe solo l'ascolto di pezzi quali "Freak Show","Get On Your Knees" o "Gipsy Kiss", dalle influenze più punkeggianti, per rendersi conto di ciò di cui si sta parlando. Non mancano brani dove l'anima dei Motorhead che su tutti veglia, si manifesta portando un velo di nostalgia con se, è il caso di "Ringleader", brano di apertura del platter che gioca su un pattern di batteria molto serrato che a noi emoziona riportandoci alla mente i ritmi frenetici e i fasti di "Overkill" che il nostro paparino Phil conosce bene. Fin qui sembra che siamo al cospetto quindi di una band di giovincelli che si diverte in modo scanzonato sotto la supervisione del maestro che ha il compito di dirigere e tenere un po' a bada i discoli. Beh, anche se l'anima del disco è votata al rock più spensierato e senza troppe pretese, se non quella di far bene il proprio lavoro, e il quintetto dimostra di saperlo fare bene, non possiamo che apprezzare la presenza di due pezzi che invece vogliono dire quel qualcosa in più, dove gli arrangiamenti e le atmosfere assumono un altro colore. Parliamo di "Dark Days" e "Into The Dark", casualmente (o forse no) entrambi con riferimenti al lato oscuro che suggerisce una maggiore ricerca di introspezione. La prima è una sorta di ballad dalle sfumature calde che ci porta sui lidi del southern rock e del blues; non mancano tutti gli ingredienti fondamentali del caso, come le chitarre acustiche che si inerpicano in un giro blues soffiato tra le ance dell'armonica. La seconda, pezzo conclusivo del disco, si assesta su ritmi più lenti da ballad e gioca tutti i suoi sei minuti circa su un semplice riff melodico, la voce di Neil si addolcisce e culla accompagnando l'ascoltatore lungo la fase discendente e conclusiva di un disco giovane, sapientemente suonato e che scorre veloce e piacevole, ottimo sottofondo per una birra al pub con gli amici: "Ehi, ti ricordi quella volta i Motorhead...?"

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