MR. BISON: Holy Oak
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11/05/2018Annunciato da un video promozionale pubblicato su queste pagine solo una manciata di giorni fa, ecco approdare su questi schermi e nelle nostre orecchie la nuova fatica dei Mr. Bison, compagine toscana giunta al terzo LP. La formazione a tre elementi, (tutti sorprendentemente con lo stesso nome) celata da un moniker che rimanda ai più classici dei videogames anni ottanta è foriera di uno stoner dalle tinte robuste che strizza l'occhio alle sonorità più classiche del rock blues che cattureranno l'attenzione dei seventies addicted. Si parte con la granitica "Roots", un omaggio alle radici dello stoner più fuzzoso e roboante con il suo incedere pachidermico che non fa prigionieri erigendo le fondamenta di quel compatto muro sonoro che non ci fa accusare la mancanza di un bassista all'interno del trio. Le influenze più lisergiche e psichedeliche entrano in gioco già nella seconda traccia, in "Sacred Deal" vengono innestati i primi germogli che troveranno piena fioritura nei brani che seguono e che sono un tratto distintivo del genere nonché caratteristica precipua dei Mr. Bison; basti ascoltare i funambolici soli frenetici, acidi, "stoned" del richiamato brano. Ma i nostri sanno essere anche accattivanti e melodici nella loro ricerca del sound e delle soluzioni stilistiche, difatti 'Holy Oak' non è solo semplice muro sonoro, ma anche ricerca di melodia catchy orientata verso un sound hard blues più dinamico come in "Heavy Rain", brano frenetico e movimentato che dopo un'intro etereo, scandito da una chitarra cristallina di matrice tipicamente bluesy sfocia in un riffing sincopato e graffiante. Ma il brano che vale il prezzo dell'intero disco e che si guadagna a pieno titolo la vetta del podio è senza dubbio alcuno la title track "Holy Oak", monolite di oltre sette minuti in pieno stile desert rock. Atmosfere roventi e ritmi più rilassati che ci trasportano all'interno di allucinati riti sciamanici in fluttuanti esperienze extracorporee; diversamente dagli altri brani questo rappresenta al meglio il connubio tra durezza sonora e leggerezza melodica, quest'ultima espressa dall'ossessivo e curato riffing chitarristico. Assonanze possono cogliersi anche in "Beyond The Edge" che ripercorre i canoni sui quali poggia la title track e che sicuramente fanno trovare i nostri a loro agio, benchè questa traccia conclusiva impasti all'interno del sound bordate chitarristiche molto più squassanti e sguaiati soli farciti di wha-wha. All'interno di questo massiccio ripescaggio di sonorità vintage si distingue "Red Sun", probabilmente la traccia più (relativamente) moderna o meglio "hard" dell'intero platter che colpisce come un treno in corsa, figlia bastarda di una coppia idealmente composta da Motorpsycho e Motorhead dei giorni che furono; velocità, attitudine e valvole ipersature sono le parole chiave per descrivere semplicemente questo brano. Se vi state chiedendo come possano suonare insieme passato e presente, beh questa è già un'ottima ragione per ascoltare questo disco.
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