HAKEN: Fauna
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18/02/2023Gli Haken sono sempre stati vicini concettualmente all’idea di Frank Zappa di concepire la musica, come “decorazione del tempo”, come una creazione barocca da costruire con le proprie mani, divertente e libera di schemi prestabiliti, basata sull’atonalità e sul ritmo. Formazione sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, sin dal primo album, propensa a sperimentare, non a sedimentare il proprio mood, e disposta anche a ritornare sui propri passi come in ‘Fauna’, per esplorare nuovi tessuti musicali, amalgamandoli alla propria identità prog metal. Sesto album ispirato a ‘Il cacciatore di androidi’ di Philip K. Dick (1968), riedito con il titolo ‘Ma gli androidi sognano pecore elettriche?’, da cui poi il celebre film ‘Blade Runner’ di Ridley Scott (1982). Ed è proprio partendo dalla terza traccia così singolare (tra i primi singoli in uscita) “The Alphabet Of Me”, che voglio analizzare tutto l’album. Potrebbe spaventare il fedele ascoltatore Haken: inizialmente il ritmo è dettato dalla tastiera, seguito da sussulti della chitarra e dalla pulsazione della drum machine (con pad elettronico), poi l’ingresso di un difficile cantato rap palpitante (eseguito con naturalezza da Ross Jennings), seguito da un coro dal marcato senso pop che sbigottisce, ma il riff ipnotico chitarra/basso ci riporta agli Haken che conosciamo, ed il tutto va a ricondursi verso un innalzamento e ingrossamento del suono, visionario, djent (Meshuggah), ma dal carattere elettronico. Ritmi irrazionali ed un delizioso ingresso di una tromba a simboleggiare l’animale totem (nel video un adorabile pastore svizzero). Un mix di ispirazione da “Hiroshima Mon Amour” (1977, ‘Ultravox’) per la combinazione drum machine/sax, o scusate, se vogliamo, anche più cantautoriale, da Paolo Conte in “Gioco D’Azzardo” (1982): questo per spiegare quale disarmante aria pop anni ’80 aleggia, rivisitata da una band progressive metal. Gli Haken di ‘Fauna’ comunicano con un nuovo alfabeto musicale. Groove enfatizzato, ritmi sincopati e poliritmie, ma con passaggi melodici, batteria con note inesistenti e suoni modellati da drum machine (Roland), per un risultato più elettrificato, computerizzato: davvero coraggiosi! E pensare che proprio alcune delle tracce uscite in anteprima sono le meno riuscite; l’album esplode dalla quarta traccia e continua a meravigliare fino all’ultima, in un continuo cambiamento. Un prog elettro-pop stuzzicante, mai noioso, anzi sorprende l’uso della poliritmia, come mezzo per un linguaggio da alfabeto pop, quasi indie, ma al tempo stesso dallo spirito jazzato. La molesta “Sempiternal Beings”, si insinua con un tempo fantasma (che mi toglie l’aria) su effetti naturalistici; ritmo irregolare, miscelazione di suoni gravi, dannatamente amplificati, ti investono come una valanga, alternandosi a sezioni di mitragliate/silenziate e ti preparano alla furia metallica cantata: bellissima! Il già sentito (ventate da Dream Theater), non aiuta ed impreziosire la mia valutazione di “Beneath The White Rainbow”, ma la traccia è melodica e prog al tempo stesso, è la sua particolarità è il perdersi nel tempo in fraseggi jazz/metal che impazziscono in un culmine devastante, ricco di voce distorta, picchiettio di tastiera ed effetti da più sorgenti, azzittiti dalla melodia: linea compositiva da atmosfera orchestrale horror. Sorprende la giocosa strofa iniziale di “Loverbite” su un ritornello da centrifuga (qui manca il legante, e i cori pop infastidiscono), ma la parte finale, lo special (dal sapore Sting, The Police) è geniale (se pensiamo che “Englishman In New York”, 1987, combinava reggae/jazz). Nelle ultime due tracce la sperimentazione collima finalmente con la poesia emozionando (creazioni barocche). “Elephants Never Forget” è un concentrato di più sperimentazioni riuscite. Immaginate divertenti e geniali ritmi funky da Primus, con slap accentuati, suoni distorti, miscelati con melodia e atmosfere teatrali da operetta (Queen) e per stupire passaggi prepotenti da voce soffocata, da marcia accellerata Pink Floyd (“Another Brick In The Wall”). Qui il legante è Haken (di ‘Aquarius’, di ‘The Mountain’, di ‘Affinity’), e funziona tutto, e questa è arte crossover per i nuovi Haken funamboli. La catartica, irregolare e rilassante “Eyes Of Ebony”, con effetti vocali e strumentali, dall’aspetto caleidoscopico, sembra voler inscenare un regno animale. Strumenti musicali come mezzo per comunicare con altre dimensioni. Magia. I suoni si prestano al tema oggetto dell’album, a tratti d’avanguardia come il film, a tratti pessimistici come il libro, e poetici come il tema spirituale trattato. Cosa potrebbe essere più bello di una connessione/comunicazione tra persone viventi ed animali guida, magari esseri che non ci sono neanche più? E soprattutto mi domando “siamo esseri umani o androidi, siamo esseri empatici?” Io credo che ‘Fauna’ sarà apprezzato da chi ha voglia di spingersi oltre l’oltre!
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