Extol: Extol
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30/06/2013Se ne erano perse le tracce. Speranze di rivederli in azione, poche. Molti di voi probabilmente nemmeno sanno di chi stiamo parlando ma, siccome la speranza è sempre l'ultima a morire, noi siamo ancora qui a tesserne le lodi. Band dall'enorme potenziale, gli Extol purtroppo non sono mai riusciti a raccogliere quanto avrebbero meritato, a fronte di lavori sempre eccelsi e tecnicamente/qualitativamente ineccepibili, e 'Extol' (inaugurante il fresco deal con Indie Recordings) oggi non fa che confermare questa tendenza. Sostanzialmente non si notano profondi mutamenti nello stile dei norvegesi, nonostante gli infiniti stravolgimenti di line up che ne hanno caratterizzato l'esistenza, forse solamente un leggermente minore utilizzo delle clean vocals se paragonato al precedente 'Blueprint', facendo forse sembrare, di primo acchito, questo lavoro come un mezzo passo indietro rispetto alla modernità del suo predecessore (indirizzato prevalentemente su un metal à la Deftones periodo 'White Pony'). Ma, appunto, rimane una fugace e fallace impressione, in quanto la classe, l'estro e la maestria compositiva profuse in queste dieci tracce sono insindacabili, dando vita a veri gioielli sonori tra i quali potremmo menzionare, in particolare, l'opener "Betrayal" con quei cori nel chorus che fanno molto prog rock come contraltare di una struttura tipicamente techno death, "Open The Gates" con voci filtrate e robotiche a donare un flavor quasi industrial, "Faltering Moves" dall'incedere lento e splendidamente malinconico, "Unveiling The Obscure" col suo chorus di estrazione Cynic e tra i brani in assoluto migliori del lotto, ed infine l'immensa title track, vero pezzo da novanta e tra le migliori mai incise dal combo, dotata di intro arpeggiato e riff maestoso che sfociano direttamente nel fantastico inciso anch'esso di natura prog rock (à la Spock's Beard/Flower Kings, per intenderci) steso, però, su un tappeto di blast beat che rende il contrasto ancor più magniloquente. Il resto delle tracce, poi, si dipana nel consueto techno thrash death al quale ci siamo abituati negli anni, una sorta di versione estrema dei mitici Tourniquet (chi li conosce? Chi se li ricorda?), enfatizzato da una produzione potente e cristallina al tempo stesso ad opera di Jens Bogren (Opeth, Paradise Lost) e da un artwork evocativo firmato Travis Smith (Nevermore, Opeth, Katatonia, Anathema), che ci riconsegna una band che pare finalmente esser uscita dalla deriva degli ultimi anni e pronta a reclamare gli allori che meritatamente spetterebbero loro.
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