ENDNAME: Anthropomachy
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10/12/2011Industrial doom strumentale con accordature basse e suono deflagrante che richiama misconosciute band che hanno fatto la (s)fortuna del genere non avendo quasi mai avuto esposizione mediatica, e proprio per questo risultano ancora più seminali; sto parlando di Release e Albino Slug, riferimenti dei quali sono intellegibili in "Not Dead". L'opera oltre a presentare le caratteristiche peculiari anzidette, le ammorbidisce con chitarre arabeggianti come nella opener "Black Light"; il discorso prosegue con la possente e cadenzata "Neuros(e)", anche qui con qualche eco orientaleggiante e con un finale scandito da riff maestosamente pesanti come nella miglior tradizione Godflesh. Nella stessa maniera in cui si conclude la traccia precedente si muovono "Under Asphalt" e "Old Star" scandite da echi industrialoidi forieri di nefasti presagi di distruzione e annichilimento senza via di scampo. Vi sembrerà strano, ma riescono ad inserire nel calderone industrial parti alla My Dying Bride (sia chitarre che tastiere), e la cosa non stride affatto, anzi dona una via d'uscita ed un tocco di classe: prestate orecchio a "Clouds Fly To The East". Una intro doomeggiante e tastiere spacey in "Not Dead" creano una valida alternativa ai muri di suono dei brani precedenti; non poteva mancare un po' di post-rock sapientemente nascosto e tirato fuori all'occorenza tra le onde doom e industrial di "Horizon". I brani non scendono mai sotto i 7 minuti di durata, e pur non avendo un cantato non danno mai la sensazione di appesantire (tranne nella estremamente prolissa, sperimentale e dissonante "Anthropomachy") con strutture monolitiche fini a sé stesse, in quanto la band quando sembra essersi fossilizzata in un refrain trova sempre il guizzo per virare e rendere l’aria più respirabile, questo grazie anche ad una produzione che accentua il peso specifico del sound in questione.
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