ARJUN: Core
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01/08/2015Gli Arjun sono un trio neworkese già da diversi anni sulle scene, oggi alle prese con un nuovo lavoro come nella migliore tradizione jazz rock. 'Core' è un disco ben strutturato, dall'architettura apparentemente semplice, ma che ascolto dopo ascolto lascia emergere tutte le sfumature ed i particolari che lo rendono un lavoro davvero interessante. Tutto gira intorno alla chitarra di Eddie Arjun Peters che ricama e ricuce di continuo tra giri armonici, linee melodiche e fraseggi che rapprensentano il punto focale della musica del gruppo. Ma come in tutte le band jazz rock che si rispettano, la sezione ritmica non sta certo a guardare, e compie un lavoro sopraffino e di spessore, ed allo stesso tempo estenenuate, incessante, andando a riempire tutto gli spazi lasciati vuoti dall'assenza di una vera e propria chitarra ritmica. Basso pulsante ed articolato che pompa con grazia - Andre Lyles - mentre il drumming di Lamar Myers si mostra fantasioso, tecnico, e di pari passo dinamico. Lo stile come anticipato all'inizio è quello tipico del jazz rock d'antan che vede i Wheater Report come i principali artefici e precursori del genere, ma gli Arjun non sono fermi ai tempi che furono, e spesso e volentieri spaziano tra vari i generi pur senza mai perdere il filo del discorso, non sfigurando certo se messi a confronto con tutta la caterva di album e musicisti coltivati a partire dagli anni '80 in casa GRP Records. Così non è raro ascoltare richiami al blues come in "Lavalust", oppure sprazzi ritmici di natura post rock come nella opener "Rocks", oppure di sfumutare rock/progressive come nella title track dove figura a ragion veduta la presenza dell'organo - per mano dell'ospite John Medeski - che arrichisce maggiormente il brano, aprendo nuove prospettive alla band in vista di impegni discografici futuri. Ad ogni modo è pur sempre la chitarra di Eddie a ricoprire il ruolo di protagonista, come quando si lancia in più occassioni a raccontare storie "pizzicando" le corde, dando voce ad una voce che teoricamente non c'è in formazione. In questo caso specifico quello di Eddie ricorda molto lo stile di John Scofield, narratore principe ed interprete straordinario di questo modo di vivere lo strumento. Così, a conti fatti, il risultato finale non potrebbe non essere di qualità, frutto di un talento naturale volto all'improvvisazione, a capacità tecniche che il trio mette a disposizione dei brani, non lasciandosi mai prendere dalla voglia di strafare e mettersi in mostra a ttuti i costi, e dalla dote non comune di tenere tutto in equilibrio in maniera armonica. Qualcosa da sistemare cè sul piano degli arrangiamenti perchè alcune volte la pause ritmiche suonano troppo lineari ed elementari tra un passaggio e l'altro, mentre in altri momenti pare che il trio sia troppo contenuto, e non si lasci andare come si dovrebbe, ma trattasi comunque di particolari che nel complesso hanno un peso specifico poco rilevante. Ottima la produzione ed il mixaggio che livellano i suoni ed i volumi in maniera egregia, ed intrigante l'artwork di copertina.
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