CULT OF LUNA + RUSSIAN CIRCLES
Cosa si fa se un tour europeo di due band che vorresti ri-vedere non tocca l’Italia? Si sceglie la località più comoda per unire il piacere della musica ad un tour delle bellezze artistiche: tra Lubliana, Ginevra e Parigi ha vinto quest’ultima per rapidità del volo ed economicità dei prezzi. Dopo esserci sciroppati oltre 30 km di passeggiate in due giorni di visite alle bellezze parigine, abbiamo dovuto far riposare le vecchie e stanche membra per prepararci al meglio a ciò che si rivelerà uno dei migliori live mai visti in oltre 50 anni di vita. L’Olympia è un teatro che è stato in parte modificato per rendere la struttura più consona ai concerti, praticamente nel parterre sono state tolte le poltrone, mentre in galleria è stato lasciato tutto com’era. All’arrivo ci troviamo verso la fine dello show dei Svalbard, band inglese che è rimasta esterrefatta dall’accoglienza e dalla moltitudine del pubblico che non ha lesinato applausi alla proposta emocore degli albionici. Il running order è stato rispettato con precisione svizzera, alle 20.00 sale sul palco il triumvirato americano dei Russian Circles in tour per l’ultimo parto ‘Gnosis’ che ha visto i nostri portare avanti quel processo di indurimento del sound fino a lambire territori death metal senza le compressioni degli effetti di chitarra di quest’ultimo. Diversi intro atmosferici hanno fatto da apripista al setlist che si è concentrato principalmente sul disco appena citato; il palco è dotato di un impianto luci stupefacente che si muovevano al ritmo di riffing e giri di batteria, il sound era pazzesco, sembrava di ascoltare il cd per la perfezione dei suoni. Dopo il chill out di "Ó Braonáin" gli statunitensi hanno cominciato a pestare pesante col connubio post metal di "Betrayal" ed i riff thrash/death tritaossa di "Conduit" alternati a parti apocalittiche, la tribale "Afrika" tratta dal disco 'Guidance' rallenta i ritmi e si fa apprezzare per le aperture melodiche post-rock prima di salire d’intensità nel crescendo della parte centrale e nel finale del brano. "Quartered" estratto da 'Blood Year' ci riporta ad un riffing massacrante ed ossessivo trademark delle loro ultime produzioni, mentre "Gnosis" dal disco omonimo si fa apprezzare per un andamento mellifluo e lento fino a metà traccia quando il power trio decide di aprire a manetta i riff mulinello per farci perdere in uno scenario siderale (come nella successiva "Deficit" dove una ventata di gelo siberiano ha ibernato il pubblico con la glaciale cattiveria dei riff) e farci risvegliare con dei riffoni protodeath. Chiude "Mladek" che con i suoi voli pindarici è un excursus della loro lunga produzione. Da fan della band avrei voluto ascoltare le telluriche ed abrasive "Vorel" e "Youngblood", ma non si può aver tutto dalla vita e quello che abbiamo ottenuto stasera è stato veramente tanto.
Headliner della serata gli svedesi Cult Of Luna figli degeneri del postcore inventato dai Neurosis; ben sei elementi sul palco, due chitarre, due batterie, basso e tastiere a ricreare un muro del suono che ha pochi eguali. In questa occasione hanno dilatato di parecchio i brani rispetto agli originali (raramente sotto i dieci minuti di durata), sottoponendoci ad un tour de force avvincente ed annichilente a partire dalla traccia che apre l’ultimo lavoro ‘The Long Road North’ parliamo di “Cold Burn” con i suoi toni apocalittici, forieri di nefasti presagi; ci catapulta in ciò che resta di un mondo devastato dalla distruzione postatomica dove creature derivate dalla mutazione genetica cercano di strappare brandelli di carne ai sopravvissuti. Come se non bastasse le minacce arrivano anche dallo spazio “Nightwalkers”, mentre “The Silver Arc” rappresenta il discorso del comandante che ci mette in allerta sui pericoli che incombono fuori dai bunker antiatomici e ci culla con i suoi movimenti melliflui ed ondulatori, ma ci invita a non abbassare mai la guardia. “I The Weapon” racconta la battaglia susseguente alla scoperta dei rifugi da parte dei nemici e la fuga per salvarsi la vita, ma la terra non è più un posto sicuro e ci si rifugia nello spazio “Echoes” dove anche qui non mancano le insidie; “The Silent Man” esplora la sideralità delle galassie. Il richiamo della madre terra è troppo forte per poter vivere distanti, ed il ritorno è solo una questione di tempo, purtroppo lo scenario terrestre è esattamente lo stesso che avevamo lasciato prima della partenza - “Genesis” - ed armi in spalla si torna a lottare per la sopravvivenza, molti cari ci lasceranno in questa lotta senza esclusione di colpi, vedi “Blood Upon Stone”. “In Awe Of” è il bis che chiude il set, una dichiarazione di intenti, una sfida che l’uomo lancia a tutte le forze distruttive che hanno martoriato la terra: finchè ci sarà vita c’è speranza in un futuro migliore. Un'ora e mezza di concerto, un excursus lungo tutta la loro carriera, band in forma smagliante che non ha sbagliato nemmeno una nota; a fine set non avevamo più voglia di ascoltare nemmeno una nota per quanto eravamo soddisfatti.
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