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BLACKFIELD

Dopo poco più di due anni dalla loro ultima calata italica, i Blackfield tornano ad allietare le orecchie del pubblico milanese. La location prescelta è l’Alcatraz dove, con la solita impostazione a mezza sala, viene allestito un set essenziale e, forse, un po’ dispersivo (vedi il tipo di musica proposta per l’occasione, che richiederebbe un ambito più raccolto). Le premesse per una buona riuscita della serata cominciano a venir meno già da subito visto che, fatto avvenuto sicuramente dopo la definizione della data, a Milano come in tante altre città del nord Italia, vi è blocco totale del traffico sino alle ore 20.00; se a questo si aggiungono delle condizioni climatiche non inclini ad invogliare la gente a cimentarsi in piacevoli passeggiate all’aria aperta, si desume che alle ore 20.15, quando gli opener PURE REASON REVOLUTION danno inizio al loro show, di gente in sala ce n’è veramente poca. Nonostante le poche decine di astanti, i cinque giovani inglesi ce la mettono tutta per presentarsi al meglio e proporre uno show degno di nota. La loro proposta è alquanto particolare potendo contare su innumerevoli influenze e sfumature sonore che si concretizzano in un amalgama dei principali generi musicali degli ultimi quaranta anni. Suoni articolati e mai banali rievocano la storia del progressive dei Pink Floyd della prima era, con un approccio energico e fuori dagli schemi tipico del punk di fine ‘70s, con forti dosi di psichedelia e l’immancabile richiamo al grunge dei Nirvana, vero plagio della generazione di cui fanno parte i PRR. Altra particolarità dei PRR è la voce: tutte le canzoni e dico TUTTE, sono cantate a due/tre voci a ricordare quanto fatto nei ‘60s dai Beach Boys o dai The Mamas & The Papas, ovviamente in versione meno solare e più vicina alla cantilenante lagnosità del suddetto fenomeno musicale di Seattle dei primi ‘90s. In definitiva, uno spettacolo più che positivo, quello dei PRR, coaudivato da una discreta presenza scenica, ma forse, a lungo andare, un po’ noioso a causa del cantato un po’ monotono in tutte le canzoni proposte. Puntuali come da programma, alle 21.30, fanno il loro ingresso on stage i BLACKFIELD, creatura voluta da Steven Wilson (inutile ricordare di chi si parla!) su segnalazione dell’artista israeliano Aviv Geffen. Dall’incontro dei due, il progetto Blackfield che, a fronte del suo secondo traguardo discografico deve, ora, essere considerato a tutti gli effetti come una band vera e propria. Con la formazione a corredo immutata, Aviv e Steven ripropongono per intero il nuovo “Blackfield II”, intervallando con sapienza le nuove composizioni con le canzoni del primo album firmato dalla band medesima, un album che a differenza di questo suo successore, risentiva, forse maggiormente, delle influenze e dello stile della main band di Wilson, i geniali Porcupine Tree. Le nuove composizioni, invece, risultano essere meno sbilanciate in quel senso, trovando un equilibrio tra gli stili dei due leader e spostandosi quindi,verso territori più pop e commerciali. La miscela, quindi, tra vecchio e nuovo materiale, porta, come detto, varietà nella proposta di spettacolo dei BF, riuscendo a soddisfare tutto il pubblico (ora divenuto finalmente numeroso, anche se non tanto quanto la band ne meriterebbe) assolutamente variegato in termini di estrazione sociale, di età e di cultura/interesse musicale. Ce n’è, quindi per tutti i gusti, da brani più tirati e grezzi che richiamano certo alternative raffinato, a canzoncine semplici semplici da cantare al mattino sotto la doccia per poi portarsele in testa tutta la giornata, a brani eleganti e di classe, a rock commerciale e radiofonico spudorato e malizioso… A livello tecnico, si potrebbe, poi, anche sorvolare nel commento, visto che sia come suono che come qualità esecutiva si rasenta la perfezione, laddove anche le canzoni teoricamente più banali, scontate e commerciali, sanno incidere ed appassionare la maggior parte del pubblico presente. Particolarità della setlist proposta dai Blackfield sono alcune versioni rivisitate di brani del primo album della band (quindi non presenti su disco), la proposizione di “Once”, brano di “Blackfield II”, in due versioni differenti in apertura e chiusura di concerto, ed una bella reinterpretazione in acustico di “Thank You” di Alanis Morrisette, per poi terminare il concerto con la canzone più adatta a tale scopo, ossia “Cloudy Now”, caratterizzata dal suo crescendo e dal silenzio improvviso finale. Che dire…uno show come quello di questa sera è da consigliare a tutti, a prescindere dal genere di musica che si predilige; questo perché la buona musica, al di là da come suoni, riesce a farsi apprezzare da tutti…ed al giorno d’oggi è veramente difficile riuscire ad individuare della vera buona musica. Un voto più che positivo alla serata nel suo complesso ed un bravo al solito geniaccio di Steven Wilson, al suo fortunato compagno di avventura Aviv Geffen, alla band di supporto che insieme a loro costituisce la realtà Blackfield e, per ultimi ma non da ultimi ai giovani Pure Reason Revolution, che, nonostante la giovanissima età, dimostrano di avere la stoffa e l’esperienza per bazzicare negli ambienti che contano. Per ora da Milano è tutto. A voi studio. Setlist Blackfield: 01. Once 02. Miss U 03. Blackfield 04. Christenings 05. The Hole In Me 06. 1,000 People 07. Pain 08. Glow 09. Thank You 10. Epidermic 11. Someday / This Killer 12. Open Mind 13. My Gift Of Silence 14. Where Is My Love 15. End Of The World 16. Hello 17. Once (alt. version) 18. Cloudy Now

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