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MOONLIGHT HAZE

Il letterato latino Lucrezio, nel suo poema 'De Rervm Natvra', cerca di porre l'uomo a stretto contatto con la realtà materiale nella quale tutti noi, sin dal principio, ci approcciamo in maniera totale, ma che non riusciamo appieno a comprenderne l'essenza e le passioni che provocano. La traduzione in musica di questo tentativo di interazione tra l'Uomo e la Natura delle Cose è stata portata avanti dalla power-symphonic metal band italiana Moonlight Haze, che grazie alle idee sempre continue di Giulio Capone, ed alla leggiadria delle liriche di Chiara Tricarico, propone un album dallo stampo deciso che cerca di fare luce su questi temi. Al termine del release party dell'album 'De Rerum Natura' effettuato nella cornice del Legend Club di Milano, abbiamo discusso proprio con Giulio e Chiara dell'album, e di tutto ciò che ruota attorno al tema dell'ascolto attento di un disco di questo tipo.

Ciao ragazzi, e benvenuti su Hardsounds. Prima di tutto, vorrei sapere un riscontro veloce sul release party di stasera del vostro album di debutto, se siete soddisfatti dell’accoglienza ricevuta? Chiara: Siamo super felici, ci siamo divertiti tantissimo, le sensazioni sul palco erano super positive, e la risposta del pubblico è stata veramente ottima. Quindi siamo super contenti.

Giulio: Tutto questo nonostante non conoscessero i brani; a parte i due brani che sono usciti come video, gli altri erano conosciuti da ieri ed era inutile chiedere di più.

Come è scattata la scintilla che ha creato il progetto Moonlight Haze? Chiara: Giulio mi aveva telefonato qualche volta, accennandomi di voler di nuovo fare una band insieme a me. In quel periodo avevo mille cose in ballo, e mi sono detta di pensarci con calma. Ovviamente, ero contenta che mi avesse di nuovo coinvolta, data la stima che ho nei suoi confronti. Ad un certo punto, circa un anno fa, mi è arrivata una sua mail che aveva come oggetto “Canzoni top secret”, e penso che chiunque sarebbe stato incuriosito da una cosa del genere. All’interno della mail c’erano tre allegati, che erano tre pezzi “demo”, ma con uno stato di lavorazione molto avanzato. Li ho sentiti subito e sono impazzita. Sono stata sveglia tutta la notte, ed ho scritto di getto la melodia della voce ed i testi di questi tre pezzi che sono all’interno dell’album. La volta successiva l’ho chiamato dicendomi di contattare subito altri membri per formare la band, perché le canzoni erano fighissime, ero presa benissimo e non vedevo l’ora di lavorarci. A quel punto, abbiamo pensato di coinvolgere delle persone che fossero molto talentuose, perché il materiale che aveva creato Giulio non era di semplice esecuzione. Allo stesso modo, volevamo avere nella band delle persone che fossero umanamente molto valide e che abbiamo apprezzato negli anni. Per esempio, con Alessandro Jacobi (bassista anche degli Elvenking, ndr), ho avuto modo di fare una collaborazione con gli Elvenking, ed avevo già condiviso dei progetti con lui. Abbiamo chiesto a loro, che provengono da band come Overtures e Teodasia, e tutti quanti hanno avuto la stessa mia iniziale reazione, nel senso che era un progetto interessante ma volevano avere del tempo per pensarci, non erano completamente convinti di cominciare un progetto completamente nuovo; intanto Giulio aveva iniziato a sguinzagliare la mail che mi aveva inviato.

Tutti quanti provenite da esperienze musicali che si concentrano in buona parte attorno alla sfera power metal sinfonico, e nell’album si possono sentire vari estratti che possono essere figli del vostro background. Il lavoro di costruzione del disco, quindi, è dato dall’apporto equivalente dei vari membri, oppure è il prodotto del lavoro di un mastermind (che può essere Giulio) che ha poi messo d’accordo il resto della band? Chiara: Il mastermind del progetto è Giulio, ma se vuoi ti raccontiamo esattamente come è stato il processo di costruzione dell’album. Giulio ha scritto i pezzi e ce li ha mandati in uno stato già rodato ed avanzato. Io ho scritto le linee della voce, ed in parte le ha scritte anche Giulio. Ho scritto tutti i testi, e tutti gli altri membri hanno partecipato attivamente nel portare le loro parti ad un livello superiore.

Giulio: Di solito cerco di mandare dei pezzi il più possibile completi, ma non faccio questo per annullare l’apporto degli altri. La questione è quella di mandare un’idea per poi ascoltarla nella forma più definitiva, che dia l’idea di un pezzo, ed infine di apportare delle rifiniture. Già nelle demo certi suoni ho cercato di farli abbastanza curati, in modo che uno capisca dove vuole andare a parare. Non mi piace mandare le basi simil-Nintendo, con i suonini a 8 bit, perché così si rischia di sforzarsi ad immaginare come il pezzo suonerà, non capendolo all’inizio. Invece, con delle basi più definite, puoi contribuire in maniera più creativa. Ho cercato di dare carta bianca agli altri membri, non imponendo di suonare esattamente il pezzo così come l’ho scritto. Questa è un’ottica che non porta a grandi risultati, ed è un meccanismo che alla lunga si rompe. Ho portato agli altri ragazzi dei pezzi, in cui ciascuno poteva inserire tutte le proprie influenze, perché poi, in fase di revisione dei pezzi, chi non aveva contribuito molto a livello musicale ha poi contribuito a livello di struttura, per esempio suggerendo qualcosa sulla quantità di giri di chitarra, ecc. Non c’è stata nessuna imposizione nella costruzione dell’album, nessun divieto.

Chiara: Il nostro scopo iniziale è stato quello di fare un disco che piaccesse a noi; non sappiamo se questo disco verrà pubblicato e quando. Vogliamo una cosa che, male che vada, lo mettiamo in macchina, ce lo spariamo a tutto volume e ci gasiamo.

Giulio: Io sono un po’ più anzianotto degli altri, e ascoltavo dischi come, per esempio, ‘Holy Land’ degli Angra. Mi ricordo che andai da Mariposa, comprai il disco, l’ho portai a casa, e misi le cuffie ascoltandolo per un’ora ed ho detto: che figata colossale! L’ho riascoltato la seconda volta ed ho sentito cose che non ho sentito nella prima. E così tre-quattro volte e sono andato in scimmia. L’intento, quindi, era di fare un disco di quel tipo. Non una raccolta di dieci canzoni ruffianone per cercare di accontentare un po’ tutti. Abbiamo cercato di fare un disco con dei pezzi più o meno commerciali, ma che se ci piaceva lo mettevamo. Per esempio, noi usiamo tanto gli strumentietnici ed orientali, come il Guzheng (strumento a corde tradizionale cinese, ndr), perché secondo me danno quel sapore in più. L’idea iniziale del brano “Dark Corners Of Myself” era quella di fare il giro del mondo con le influenze musicali; c’è la parte orientaleggiante, c’è la parte con il samba nel mezzo, poi ci sono degli stacchi che richiamano forme del tango. Probabilmente, questo è un esperimento da poter replicare in futuro con altre zone, perché la musica etnica è bella tutta ed è interessante.

Chiara Tricarico e Marco Falanga from Moonlight Haze, live @ Legend Club Milano, 22/06/2019 (photo by Beatrice Demori)

Tornando al lavoro di base che ha fatto Giulio, secondo me il concetto di ‘carta bianca’ è anche rivolto verso il rispetto dell’esperienza degli altri musicisti. Giulio: Se avessi detto ai ragazzi: “Bene, i pezzi si suoneranno in questo modo; se li volete suonare così bene, altrimenti arrivederci.”, sarebbe stata una cosa oltre che antipaticissima, anche limitante perché io, sinceramente, preferisco una persona che mi dice di aver scritto un assolo o un’idea, piuttosto che una parte recitata in latino, da inserire nel brano, e che per me può essere interessante. Altrimenti si alimentano delle gelosie nei confronti di persone che scrivono musica che risulta essere, alla fine, un po’ infantile.

C’è una vostra band passata alla quale si possa avvicinare il sound dei Moonlight Haze? Chiara: In realtà credo di no. Sicuramente ciascuno di noi si è portato dietro delle influenze frutto delle esperienze passate, ma credo che questo sia un gruppo molto diverso da tutti gli altri in cui ho cantato in precedenza, anche proprio per questa completa libertà che abbiamo avuto tutti nel contribuire alla nostra musica e mettere dentro quello che ci piaceva, con il risultato di creare una cosa particolare.

Essendo l’album uscito da pochi giorni, alcune cose non si conoscono molto. Qual è il concetto generale che viene fuori dall’ascolto di ‘De Rerum Natura’? Chiara: Come suggerisce il titolo stesso in latino, che è il titolo di un poema latino di Lucrezio sulla natura delle cose, l’intero filo conduttore dei pezzi dell’album è il rapporto che c’è tra la realtà e l’ambiente in cui viviamo, inteso costituito dalle persone e dalle situazioni, e la nostra interiorità. Il concetto è che noi stiamo osservando quello che succede, cercandolo di fare nel modo più analitico e scientifico possibile, ma abbiamo sempre questo filtro che sono le nostre emozioni che ci fanno vedere le cose in un verso o in un altro. Allo stesso tempo, le nostre emozioni sono influenzate da quello che ci succede; quello che siamo dipende da tutto quello che ci è accaduto e che ci accade tuttora. Ad esempio, il testo della canzone “The Butterfly Effect”, che è stato il primo singolo che è uscito ed una delle prime canzoni che Giulio mi ha mandato, parla di esperienze che abbiamo vissuto, sia belle che brutte ed anche quelle apparentemente insignificanti, che in realtà ci hanno portato qui e ora. Quindi, noi saremmo comunque diversi, in meglio o in peggio non si può sapere, però è inutile dire a volte che avrei potuto evitare quella cosa. Certo, alcune esperienze sarebbe stato meglio non viverle, ma probabilmente non saremmo arrivati ad essere le persone che siamo adesso, nel bene e nel male. Il disco non è un concept, ma pur essendo canzoni indipendenti c’è sempre questa sintonia di fondo. Un altro esempio è la canzone “Odi et Amo”, che parla di un conflitto interiore in cui non si riesce prima di tutto a capire quale sia il bene e quale sia il male, ma non si riesce nemmeno a capire da che parte si voglia stare una volta capiti dove siano bene e male. La strofa è tutto un elenco di oggetti e di emozioni contrastanti, e nel ritornello si va a parlare di questo conflitto di cui non si riesce a venire a capo, di questo tormento in cui non riesce a capire da che parte stare.

Per fortuna mi hai risposto in questa maniera, Chiara, perché vedendo anche l’artwork e tutte le immagini, sembra che nell’album ci siano delle reminiscenze legate alle scienze astronomiche e le fasi lunari. E’ una disciplina che fa parte delle vostre passioni? E vi chiedo se c’è stato uno studio approfondito di queste materie che è servito per scrivere i vostri brani? Chiara: Qualcosina sì, è un tema che ci piace, e comunque l’album descrive anche la natura in generale. Sicuramente, è una scienza che fa parte delle nostre passioni, gli astri sono presenti nei nostri testi.

C’è un brano in particolare che richiama questi temi, come l’astronomia e le fasi lunari, anche in maniera molto esterna? Chiara: Nello specifico non parla di fasi lunari, ma la canzone “Time” (che è il brano in cui c’è la collaborazione con Mark Jansen e Laura Macrì) parla proprio dello scorrere del tempo, e di come il tempo sembri, a volte, dilatarsi o scontrarsi a seconda di quello che proviamo in quel momento. Ci sono delle situazioni che appaiono scomode, e ci sembra che non finiscano mai, ed allo stesso tempo situazioni bellissime che sembrano volare. C’è anche la paura di sprecare il proprio tempo con pensieri e cose inutili. C’è un richiamo diretto al tempo che è governato fisicamente dal moto perpetuo dei pianeti.

Copertina di 'De Rerum Natura', uscito il 22/06/2019 per Scarlet Records
 

Il tema del tempo ha un risvolto diretto nella vostra vita quotidiana? Chiara: Penso che sia una sfida interessante provare a rendere ogni attimo significativo. Non è per niente facile, il nostro cervello si muove in continuazione e pensiamo al perché abbiamo perso tempo a preoccuparmi a questa roba quando non c’era bisogno. Non sappiamo quanto tempo abbiamo in generale, e bisogna sfruttarlo appieno.

Hai anticipato l’apporto che vi hanno dato la coppia Jansen-Macrì nel brano “Time”. E’ un pezzo che è stato scritto apposta per loro, oppure è stata una collaborazione che è nata a scrittura dei brani già completa? Chiara: Laura è una mia cara amica che mi ha supportato fin da subito in questo progetto. Riguardo a questa collaborazione, nel trattare il tema del tempo avevo in mente tre aspetti dell’interiorità della stessa persona che litigavano tra di loro. E quindi avevo pensato a queste tre voci: la voce più aggressiva e ‘harsh’ che è quella di Mark Jansen che rappresentava il diavoletto che ostacolava le intenzioni; la voce potente e lirica di Laura Macrì che, invece, è la spinta in più che ti spronava a fare del tuo meglio, che ti dice anche (con un verso in italiano) ‘La vita è qui, e aspetta proprio te’; e poi c’è il personaggio che interpretavo io che era la mia via di mezzo, che si chiedeva cosa fare e che aveva sempre dei dubbi.

Vi hanno fornito eventuali suggerimenti su come perfezionare l’album in particolari aspetti? Chiara: In realtà loro hanno collaborato solo a quel brano. In generale hanno sentito i brani, ma non hanno dato particolari suggerimenti.

Il sound dell’album si presenta sostenuto, ma anche piuttosto orecchiabile. Può essere questa la ricetta giusta per mantenere vivo l’interesse e la qualità per questo settore specifico del metal? Giulio: Può essere che il prossimo disco lo faremo tutto speed metal, perché abbiamo voglia di fare dei pezzi tutti in doppia cassa e veloci; oppure fare un disco più cadenzato. Se ti approcci in questa maniera, ti senti onesto con te stesso. Quindi, in teoria, è meglio fare un disco tutto di ballad, che vende una copia, che diventa un flop commerciale colossale, ma che almeno è un disco che ci piace e che ci sentiamo in quel momento. Invece di fare la ricetta obbligatoria del pezzo in questo modo, del pezzo in quest’altro modo…dopo un po’ si sente che è una cosa forzata. A tutti piace avere un po’ di successo, sarei un ipocrita a dire che non sono contento se il disco vende un milione di copie, anche perché non le venderà mai (ma mai dire mai…).

Giulio Capone from Moonlight Haze, live @ Legend Club Milano 22/06/2019
 

Ieri l’uscita del disco, oggi il release party. Domani? Chiara: Domani forse ci riposiamo (ride).

Dopodomani? Chiara: Da dopodomani seguirà un periodo di promozione di ‘De Rerum Natura’. Tuttavia, ne stavamo parlando con gli altri ragazzi che l’intera esperienza di scrittura, di registrazione ed arrangiamento del disco è stata talmente divertente e coinvolgente che ci siamo divertiti, ed in realtà non vediamo l’ora di riprendere a suonare. Oltre alla promozione, abbiamo un sacco di idee; qualcosa è già stato scritto, anche se non potremmo già da ora molto.

Avete già pensato a qualche data dal vivo? Giulio: Ci stiamo lavorando, ma al momento non c’è nulla di fissato. Non vogliamo fare trecento concerti, vogliamo fare poche serate che siano davvero un piacere. Se è un piacere per il musicista, il pubblico lo percepisce subito; altrimenti se la band è lì sul palco solamente perché deve fare la spunta sulla data e suonare senza guardarsi tra di loro, non c’è nessun divertimento e trasporto.

Chiara: Cerchiamo comunque di fornire uno spettacolo che sia il più possibile coinvolgente. Non facciamo un genere semplice che lo puoi portare ovunque. Nel limite del possibile, vorremmo sempre proporre uno spettacolo come quello di oggi al Legend.

Esprimete la motivazione principale per cui gli appassionati debbano avvicinarsi a voi ed alla vostra musica. Giulio: Non vorrei che fosse una cosa pretenziosa, ma se si amano i dischi di una volta intesi non in senso retrò, ma i dischi che erano un viaggio dove ti mettevi lì, te lo ascoltavi tutto e staccavi dai problemi della quotidianità, secondo me ‘De Rerum Natura’ è un buon disco. Certo, hai la doppia cassa, hai gli assoli di chitarra, hai il metal e tutto quello che vuoi; ma quello che cambia è che ti puoi staccare dal mondo, non ti fai rompere le balle da nessuno, ti metti le cuffie e ascolti l’album con calma, e secondo me lo utilizzi al meglio. Non è un disco da singoloni, che ascolti un pezzo da cinque minuti e finisce lì, non è così che lo si ascolta.

Penso che sia comunque lo scopo principale della maggior parte degli dischi quello di essere ascoltato attentamente…Giulio: Ni. Tanti dischi vengono fatti per mettere in fila 10-12 singoli per beccare poi quel pezzo che ti manda in classifica, che gira e ti fa un milione di ascolti e visualizzazioni. Tutto bello, ci mancherebbe, però secondo me è la partenza che sbagliata. Faccio musica perché voglio arrivare ad un risultato. No, faccio musica perché mi piace. Arrivi a quel risultato? Bravo, vuol dire che hai fatto una cosa che è piaciuta, anche se magari non era commerciale. Ci sono tante band validissime in Italia e fuori dall’Italia che fanno musica tutt’altro che commerciale, ma che ottengono comunque dei risultati commercialmente buoni.

Chiara: Secondo me, la grande differenza la fa chi ha qualcosa da dire, chi produce un messaggio importante. Io penso che non abbia nessun senso salire su un palco solo per far vedere quanto si è bravi, per far vedere gli assoli veloci di un chitarrista e gli acuti di un cantante. La vera differenza la fa il messaggio che si vuole portare. Io ritengo che questo disco possa piacere perché è genuino, perché avevamo delle cose da dire e le abbiamo dette nel modo in cui volevamo dirle.

Giulio: Le parti meno musicali sono state scritte in una settimana circa, di getto, iniziavi un pezzo e lo portavi in fondo. Poi, ovviamente come detto prima, c’è stato tutto un lavoro sopra. Però erano cose che dovevano essere spontanee.

Ultimissima domanda, che mi è venuta in mente adesso e che esula da tutto. Voi rimanete sempre in una sfera underground. Questa scena può ancora avere un futuro, nel vostro genere come in altri? Giulio: Se le band iniziassero a ragionare nella maniera in cui si vuole fare musica perché si ha qualcosa da esprimere, ci sarebbe una mezza rivoluzione. Tante band sparirebbero, tante altre invece iniziano a lavorare in maniera più spontanea, e ci sarebbe davvero un cambio nel modo di fare ed affrontare la musica anche a livello underground. Si tende a puntare tutto sulla qualità, intesa non come la megaproduzione, ma con un concetto di musica fatta con il cuore. Ci sarebbe parecchia lite. Adesso convivono nella stessa scena band che suonano per cercare la convenienza commerciale, e altre band che fanno musica con un’ottica più sanguigna e viscerale.

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