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PARADISE LOST: PARADISE LOST

data

19/04/2005
86


Genere: goth rock
Etichetta: G.U.N.
Distro:
Anno: 2005

Certo è che se continuano così, rischio di starci male, e di brutto. I Paradise Lost sono ritornati nei negozi, e lo hanno fatto alla loro maniera, tipicamente british, con lieve noncuranza e tanto stile. Già perché a dispetto delle anticipazioni gossipiane date con mesi e mesi di anticipo (e puntualmente "calibrate") i nostri hanno aspettato che fosse tutto pronto, tutto deciso e tutto sotto controllo al 100% per far uscire il decimo album in studio della loro onorata carriera, che ricordo essersi aperta nel 1990 con un album acerbo ma seminale come 'Lost Paradise'. Quale miglior titolo allora di un puro e semplice 'Paradise Lost'? Dopo aver ascoltato, amato, riascoltato e gustato in ogni sua forma un album secondo me ottimo come il precedente 'Symbol Of Life' (2002), era lecito aspettarsi qualcosa che ne seguisse la linea sonora, ma senza risultarne una mera scopiazzatura. Le differenze fra i due? Innanzitutto si nota la dipartita del batterista Lee Morris in favore di Jeff Singer (ex Blaze) che stilisticamente non fa rimpiangere affatto il suo predecessore, ma anzi contribuisce ad apportare innovazione e freschezza alle canzoni. A livello prettamente musicale, come già accennato in apertura, i Paradise Lost del dopo 'Host' (2000) hanno forgiato un proprio sound che mescola sapientemente dark wave anni '80, metal ed elettronica, sempre con risultati migliori; in questo senso 'Paradise Lost' frena un poco la parte elettronica delle canzoni (cosa impensabile invece su 'Symbol Of Life', dove molte canzoni avevano come punto di forza proprio il groove un po' ruffiano e danzereccio) a favore di un certo ritorno a sonorità decisamente più metalliche sia come struttura che sonorità. Che poi lo stesso cantante Nick Holmes dichiari che "PL sarebbe stato l'album più duro composto negli ultimi dieci anni" non fa altro che confermare questa prima analisi, del tutto sonora. A livello tecnico, il songwriting è sempre di altissima classe e raffinatezza (attenzione: è sempre stato così, anche negli album più bistrattati, come 'Host' o 'Believe In Nothing') e per questa ragione le canzoni che compongono l'album sono tutte molto aggraziate, ognuna con un proprio stile, una propria anima e un proprio mood, tutte PL al 100%. "Don't Belong", "Spirit" o "Accept The Pain" sono secondo il sottoscritto gli episodi più significativi di questo gran disco, che ha dalla sua oltre ad un notevole packaging e grafica, una produzione decisa, pulita ma non invadente, come sempre nello stile del gruppo di Halifax. C'è ancora un aspetto da analizzare a questo punto: il possibile target del prodotto. Ormai l'equazione Paradise Lost = gothic metal non è più tale, di tempo e acqua sotto i ponti ne è passata, ma i vecchi fans sono sempre lì, ai quali se ne sono aggiunti tantissimi negli anni. L'area d'interesse per quello che riguarda questo disco va dagli ascoltatori del rock "non-stupido" a buona parte di coloro che gravitano nell'area electro/gothic, e da qui si evince che le premesse per un successone ci sono tutte, perciò ora basta parlare e tutti all'ascolto! Come di cosa!?! Di 'Paradise Lost' naturalmente.

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