IRONSWORD: IRONSWORD
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31/03/2005Un nome che più cliché non si potrebbe, una spada avvolta da fiamme in copertina, testi degni della più sconosciuta epic metal band anni ’80: in aperta e impavida sfida a ogni critica da intellettuali, nell’anno domini 2002 gli Ironsword si scagliano contro il mondo con questo disco, degno esordio full-length e seguito dei due mini usciti nei primi anni di carriera della band: inizialmente progetto solista del prode Tann, per i più semplice ex-membro dei Moonspell, gli Ironsword sono evoluti in vera e propria band in cui però il barbaro lusitano rimane unico compositore, chitarrista e cantante. Musicalmente parlando, l’intenzione degli Ironsword non potrebbe essere più chiara: omaggiare i grandi leoni dell’epic metal anni ’80, in primo luogo Omen e Manilla Road, rileggendo i loro inconfondibili stilemi con un’attitudine barbarica e primitiva che riesce a dare smalto e potenza anche a plagi clamorosi. Chitarre iperdistorte, basso terremotante, e purtroppo (unico vero neo a livello di produzione) batteria sostituita da un set elettronico che comunque non inficia il feeling preistorico che si respira in tutti e 9 i brani di questo disco, un sound talmente grezzo che a confronto i Bathory sembrano i Dimmu Borgir. Musicalmente parlando, l’epic metal degli Ironsword è Omeniano fino all’osso, soprattutto chitarristicamente parlando, semplice e ficcante, basato sull’onnipotente riff terzinato che ha reso immortali capolavori come “Die By The Blade”, e che qui forma l’ossatura dei momenti più compatti e distruttivi (su tutte l’irresistibile “Under The Flag Of Rome”), mentre le parti più rilassate rimandano ai primissimi Manilla Road o ai Manowar più ieratici, tributati anche nelle epicissime cavalcate di “Guardians” e “King Of All Kings”. E’ però la voce di Tann l’elemento più convincente, personale e sbalorditivo di questo disco: altro che proclami faciloni, il portoghese è VERAMENTE un barbaro, l’ultimo dei Vandali o dei Suebi, più che cantare sembra invocare antiche divinità alla battaglia, o guidare eserciti interi verso carneficine di proporzioni immani tra orde iberiche e legioni romane… timbro basso, cupo e rude ai limiti del growl, come un JD Kimball incattivito e brutalizzato, un autentico profeta di sventura e di massacro. E’ grazie alla sua interpretazione se mazzate come “Legions” o “March On” risultano potenti e devastanti oltre ogni limite, riuscendo a incorporare la furia di un’intera battaglia in pochi minuti di sparatissimo epic metal. C’è da dire che tutti i brani funzionano alla grande, anche perché certe formule non possono che risultare coinvolgenti se applicate a dovere, ed è così che gli Ironsword riescono a creare episodi davvero grandiosi come “Ancient Sword Of The Dead” o la bellissima, conclusiva “Burning Metal”, che rifuggono dall’omaggio/plagio presentissimo invece in “Into The Arena” (titolo e testo presi dal quasi omonimo brano degli Omen, ritornello assolutamente uguale a quello di “Warning Of Danger”), o in “Call Of Doom” (che riprende in maniera impressionante il riff portante di “Ride Of The Chariots” di Thor). Insomma, ci siamo capiti: “Ironsword” è una dichiarazione di guerra a ogni raffinatezza, ogni effeminata smanceria, ogni mollezza, che recupera in convinzione, passione e sincerità tutto quello che perde in originalità. Se quello che volete è un epic metal barbarico (e il numero di volte in cui ho usato questa parola in questa recensione dovrebbe essere chiarificatore) dall’attitudine conservatrice e censoria, se volete sentire come la passione per un genere senza tempo può rendere attuale riff e melodie vecchie di vent’anni, questo è quello di cui avete bisogno. E se poi vi ritroverete a cantare “March On” sotto la doccia, non prendetevela con me, io vi avevo avvertito!
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