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DREAM THEATER: FALLING INTO INFINITY

data

08/03/2008
66


Genere: Prog Metal
Etichetta: Eastwest
Anno: 1997

Questo disco ha rappresentato una piccola svolta del gruppo che ha voluto diversificare la sua musica facendo un album con sonorità leggermente diverse da quelle a cui ci avevano abituato nei lavori precedenti e che avevano messo la band nell'olimpo del prog metal. 'Falling Into Infinity', questo il nome attribuito al disco, nasce quindi con la voglia di dare una prospettiva diversa ai fans e mette in luce sonorità che a volte si avvicinano anche al pop. C'è anche da dire che nella loro carriera i Dream Theater stessi hanno detto che questo album, per pressioni della casa discografica, è stato prodotto e creato troppo in fretta, in una situazione che non gli ha permesso di dedicarsi al meglio nella stesura dei brani presenti. Ascoltando il disco ci accorgiamo subito che alle prime tracce manca qualcosa: "New Millennium" e "You Not Me" si presentano senza grandi spunti e danno l'idea di un pezzo riuscito solo in parte. Andando avanti troviamo "Peruvian Skies" e "Hollow Years" che con i loro ritmi da ballata, soprattutto la seconda, riescono a far riprendere quota al disco anche se non si raggiunge i livelli di quelle presenti nei dischi precedenti. Con "Burning My Soul" i Dream Theater tornano cattivi con un brano breve e veloce che però non riesce nel suo intento in maniera completa, cosa che invece troviamo nella seguente e strumentale "Hell's Kitchen". "Lines In The Sand" si dimostra un brano valido e ben costruito, pur senza eccellere, rispecchiando i canoni classici del gruppo, insieme a "Take Away My Pain", brano che Petrucci dedica al padre e dove il chitarrista mette il meglio di se. "Just Le Me Breathe" e "Anna Lee" invece intraprendono strade pop che si staccano dal contesto lasciando sconcertati molti fan e puntando apertamente a cercare apprezzamenti fuori dal contesto classico della band americana. Chiude il disco la suite "Trial Of Tears", una delle rare composizioni di Myung, che per fortuna ci riporta sui livelli più canonici e nei suoi tredici minuti mette in mostra quello che sono i Dream Theater. Ci troviamo quindi di fronte ad un disco dove la band americana ha cercato, seppur in tempi stretti per via delle pressioni esterne, sia di accontentare i fans sia di allargare gli orizzonti verso altri lidi ed altri orecchi musicali. Purtroppo il risultato è stato quello di far storcere il naso agli estimatori di vecchia data e di non trovare abbastanza consensi in nuovi fans. Nonostante questo il disco presenta alcuni brani meritevoli di ascolto, non per niente questi sono spesso nelle scalette live e vengono comunque apprezzati, e non può essere considerato totalmente un passo falso. Sicuramente però la band negli anni ha prodotto molto di meglio.

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