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ATLAS PAIN: What The Oak Left

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11/04/2017
80


Genere: Epic Folk Metal, Power Metal
Etichetta: Scarlet Records
Distro: Audioglobe
Anno: 2017

Il folk metal è un movimento che in Italia sembra essere ben fornito, che ha cercato e sta cercando tuttora di coinvolgere una molteplicità di ascoltatori attraverso temi di natura fantastica, storie di anarchia assoluta e travolgente, pervase da fiumi di birra e da abbracci reciproci. Il folk metal italiano è soprattutto denso di qualità musicale, e dai pionieri Folkstone fino alle band nate più recentemente, il livello sembra non essere mai sceso, anche all’interno delle varie sfumature e sottoclassi del folk, che vanno dal più melodico, passando per quello rockeggiante e divertente fino a quello che tocca tematiche e modi di suonare piuttosto estremi. Il livello sembra quanto assestarsi su buoni ritmi quando ci si trova davanti band come i milanesi Atlas Pain, i quali un paio d’anni fa hanno realizzato il loro EP di esordio ‘Behind The Front Page’, il quale si incanalava su un folk metal vistoso e piuttosto classico, bello da ascoltare ma ancora fortemente incanalato, per non dire inscatolato, dentro i precisi dettami del genere, fatto di ritmiche belle veloci, screaming piuttosto acceso, ed allegria invadente. Dopo una serie di live ben apprezzati in compagnia soprattutto di band strettamente collegate sia come genere proposto, sia come affinità che vanno al di fuori della sfera musicale, con rapporti si amicizia consolidati, il loro approdo alla Scarlet Records ha creato in loro la possibilità di guardare oltre, e di cercare di poter fruire ancora maggior pubblico. Per questo la band milanese si è avvalsa dei contributi dei Finnvox Studios di Helsinki di Mika Jussila e dei Media Factory Studio di Fabrizio Romani per poter creare un sound più diretto e pulito, senza per nulla trascurare le loro idee e le loro radici folk. ‘What The Oak Left’, raffigurato in copertina con immagini e protagonisti della natura nordica che riprende molto, nei colori, nella grafica e nei contenuti, quella di ‘Silence’ dei Sonata Arctica, ha il pregio di unire quindi forza propulsiva e gusto dell’equilibrio, riuscendo ad essere molto gradevole per tutta la sua durata, mescolando forza folk e power con elementi symphonic aventi un considerevole tatto. L’intro dell’album “The Time And The Muse” è molto sommessa ma passionale, prima di far sprigionare la loro potenza epica in un crescendo continuo con “To The Moon”, mettendo in mostra gli autentici Atlas Pain, che si sbizzarriscono con la musica che sanno fare meglio. I suoni sono ottimi e ben percepibili e la voce di Samuele Faulisi è molto vigorosa, con uno screaming convincente, mai banale e quasi mai sottotono. In “Bloodstained Sun” entra in campo a gamba tesa la ritmica forsennata e limpida della batteria di Riccardo Floridia, che tiene l’ascoltatore sempre concentrato e dritto al punto, e con le chitarre di Faulisi e di Stefano Tartarini che, durante le grida della gente che cerca salvezza dalla battaglia incombente, producono cavalcate di stampo epico-cinematografico molto interessanti. “Till The Dawn Comes” parte con un inizio molto intimo e romantico per poi improvvisamente esplodere e attraversare dimensioni epiche e molto fantasy, come nelle intenzioni e nel credo musicale della band. Dal precedente EP vengono ripresi i brani “The Storm” e “Ironforged”, già conosciuti al loro pubblico di fiducia, ed in questa sede leggermente ritoccati per valorizzare al meglio le loro caratteristiche di stampo fantasy. “The Counter Dance” mescola folk e power in maniera molto naturale, come anche l’uso di screaming e growl da parte di Faulisi  risulta ben apprezzato. L’epicità sinfonica prende campo con “Annwn’s Gate”, accompagnata con quel suono saltellante che sicuramente farà breccia a molti.  Dopodiché, si ritorna come il ciclo degli elementi naturali a discorsi fatti in precedenza sulla volontà, per non dire quasi necessità, della band e credo anche della Scarlet di varcare nuovi orizzonti che non siano quelli strettamente epic-folk metal. In parte con “From The Lighthouse”, che mantiene una base folk ma fa un uso sostenuto delle backing vocals molto caratteristico e che aggiunge melodia e sostanza al brano, e soprattutto con la suite finale completamente strumentale “White Overcast Line”, che mescola metal melodico, folk metal tambureggiante e musica d’atmosfera con un equilibrio pressochè ottimale, denotando una qualità musicale della band che non vuole essere seconda a nessuno. Con questo brano si viaggia nelle lande più incontaminate del Nord Europa, con il vento che accarezza i capelli. Un grande passo in avanti per gli Atlas Pain con ‘What The Oak Left’, che sicuramente verrà apprezzato da molti e che fa acquistare nei ragazzi notevole fiducia nei loro mezzi.

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