ANGRA: HOLY LAND
data
02/03/2005...le nebbie si alzano, il sole splende su una terra rigogliosa e varia, ricca di contraddizioni e di meraviglie, di santi e di demoni, d'oro e di pietra, di gioia e di dolore. Dal profondo della foresta amazzonica, la voce della magia si spande, trova corpo nella musica, vola su verdi distese interminabili, su fiumi e città, avvolge l'inconsapevole ascoltatore e lo porta via... Tutto questo perchè, secondo il sottoscritto, siamo di fronte all'album più bello che il mondo del metal abbia mai generato. Probabilmente questa frase susciterà polemiche, suonerà esagerata, eccetera... non mi interessa. Un lavoro così bello risponde da solo a tutte le critiche... Corre l'anno 1996, gli Angra di Andrè Matos sono reduci dall'ottimo "Angels Cry", e decidono di portare una ventata di novità nella loro musica. E allora via alla sperimentazione, con strumenti tipicamente brasiliani e melodie etniche e malinconiche, supportate con rara maestria da tutti i componenti della band. I cinque ragazzi dimostrano una volta di più di essere dei musicisti di primissimo livello, non un solo errore, assoli e riff da brivido, ritmi particolarissimi, e linee vocali impossibili per chiunque non si chiami Andrè Matos. Dopo "Crossing", un madrigale medievale (!) con in sottofondo gli attutiti rumori di un temporale, parte il brano che insieme a "Carry On" è il simbolo degli Angra, "Nothing To Say", coinvolgente, pazzesca e assolutamente meravigliosa... Matos, Matos, fortissimamente Matos, ma anche i due chitarristi non scherzano. Le dolci note di un pianoforte introducono "Silence And Distance", che si regge sulla voce del singer brasiliano fino all'esplosione del particolarissimo ritmo del brano. "Carolina IV" è il pezzo più lungo del disco; percussioni latineggianti lasciano gradualmente spazio a strumenti più convenzionali, che ci portano alla purissima bellezza del ritornello. Ancora pianoforte per la title-track, senza dubbio una delle canzoni più suggestive e maggiormente influenzate dalle radici brasiliane dei cinque musicisti. "The Shaman" è un altro brano molto molto particolare, il cui titolo verrà poi utilizzato da Matos per formare la sua nuova band. Ma il capolavoro, il pezzo che più di tutti splende nel cielo brasiliano, è la meravigliosa ballad "Make Believe". Dolce, strana, dirompente nel finale, con ancora una volta una prestazione vocale inimitabile; una delle canzoni più belle di sempre. L'unico pezzo che si pone un gradino sotto agli altri è "Z.I.T.O.", non perchè sia brutto, ma perchè è quello più "normale", più classificabile negli schemi del power metal classico. In ogni caso, di gran lunga superiore alla media dell'attuale power metal... "Deep Blue" è un'altra, splendida ballad, forse non al livello di "Make Believe" ma senza dubbio emozionante. Il disco si chiude con "Lullaby For Lucifer", ipnotica ninna-nanna di sottofondo, ideale per abbandonare lentamente questa terra da sogno e tornare piano alla realtà.
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