UNDEROATH
In una stagione che già si preannuncia ricca di eventi imperdibili per gli amanti delle sonorità emo e *core, il New Age dà fuoco alle polveri con l’arrivo degli Underoath, forse una delle band più amate e con più esperienza alle spalle nella scena. La ricompensa sarà un locale parecchio popolato; certo non al limite del sold out, ma sufficiente a smentire tutti quelli che stanno già ballando sulla tomba del metalcore. Ad aprire la serata ci pensano gli AMIA VENERA LANDSCAPE, combo postcore trevigiano che sta riscuotendo sempre più successi da un paio d’anni a questa parte; notevoli i suoni, e notevole la perizia tecnica della band (con tre chitarre); un po’ meno notevole la proposta, forse troppo impegnativa ed elaborata, con brani lunghi e intro campionate altrettanto prolisse. Bravi senz’altro, ma da rivedere in una sede più appropriata, o su disco. A seguire i sempre più celebri AIRWAY, accolti da un pubblico davvero caloroso. Era la terza volta che li vedevo dal vivo e, pur ammettendo la loro bravura, questa volta sono rimasto un po’ deluso; sarà che alla fine i brani erano sempre gli stessi, sarà che stasera erano un po’ freddi, ma gli Airway non mi hanno convinto (ma l’audience ha apprezzato a dovere). Anche loro da rivedere, magari con dei nuovi pezzi a conferma di quello che hanno dimostrato fino ad ora, prestazione senza cuore di stasera esclusa. E’ quindi il turno degli headliner; attesi in modo addirittura spasmodico da alcuni, il sestetto statunitense fa il suo ingresso sulle note di "Breathing In A New Mentality", opener del nuovo disco, l’ottimo 'Lost In The Sound Of Separation'. Nonostante il delirio collettivo, mi accorgo di essere davanti ad una band piuttosto diversa da quella sentita negli album, una band che pensa più a fare casino sul palco che a suonare i propri strumenti; detta così potrebbe sembrare attitudine, ma il risultato concreto non era nient’altro che un pastone indefinito di suoni, che oltre a non rendere giustizia a pezzi da novanta come "In Regards To Self" o "Writings On The Wall", li fa sembrare tutti identici. Un peccato insomma, anche se sono sicuramente uno dei pochi che la pensa così, a giudicare le espressioni soddisfatte di tutti a fine concerto. Spero di rivederli e cambiare idea, magari.
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