ULVER
I lupi più pregiati della musica norvegese, gli Ulver, hanno deciso quest’anno di tirare fuori l’ennesimo gioiello della loro densa e molto eterogenea discografia, pescando a pieno titolo nella migliore essenza della new wave ottantiana, e facendola estremamente moderna e contemporanea con un uso delle melodie ben qualificato e dosato, e con il supporto di sonorità che riescono a fare breccia anche, se non soprattutto, ai patiti di un certo tipo di fare musica che si avvicina alle atmosfere elettroniche e da dancefloor. Solo che questa volya gli Ulver non hanno prodotto un disco da far ballare nelle discoteche, ma è un disco che raccoglie la musica a 360°, come è sicuramente nelle corde di Kristoffer Rygg e compagni, da ascoltare in maniera assolutamente attenta, per poi completamente lasciarsi trasportare e travolgere. ‘The Assassination of Julius Caesar’ viene portato dal vivo in questo tour europeo, anticipato la scorsa estate dalla serata suggestiva del Labirinto della Masone, vicino Parma, ed ora incanalato in una veste indoor come quella del Santeria Social Club di Milano, che nella serata di mercoledì 22 novembre accoglie la band norvegese con tutte le dovute attese.
Alle 22 in punto sale sul palco colui che sarebbe dovuto essere il musicista di supporto, tale Stian Westerhus, che si cimenta con chitarra, archetto e soprattutto (purtroppo…) voce. Una voce di un lamentoso ai limiti del fastidioso, sicuramente cacofonico, che non ha per nulla ben impressionato il pubblico. Molti range vocali che avranno anche una loro tecnica di base, ma che sono sembrati tutti senza un senso logico, ancor meno sotto l’aspetto della qualità musicale. A ciò si aggiunge una prova alla chitarra piena di distorsioni di difficile catalogazione ed apprezzamento, e non in linea con un decoroso accompagnamento musicale.
Dopo una ventina di minuti di fastidio puro, entrano a poco a poco gli Ulver, con all’ultimo Kristoffer Rygg, e Westerhus invece di scendere dal palco, rimane con la sua chitarra finendo poi per suonare insieme a loro per tutto il set, e questa è stata una parziale sorpresa. La band al completo, che sul palco consta di sei elementi, dà quindi sfoggio della propria creatività attaccando con “Nemoralia”, prima traccia di ‘The Assassination of Julius Caesar’, e iniziando a comporre, con musica di livello atomico e continui giochi di laser, uno spettacolo emozionante, impeccabile, in cui domina il rapimento assoluto del pubblico da parte della band e della musica che essi propongono, carica di wave e di ingredienti sintetici che avvolgono l’ascoltatore, facendolo viaggiare in mondi paralleli. Mondi paralleli raggiunti a pieno titolo con pezzi come "Southern Gothic" (smaccatamente new wave anni ’80) e “So Falls The World”, in cui la voce di Rygg si dimostra davvero convincente al pari dei suoi colpi percussivi e di synth. Da notare, inoltre, la buona prova questa volta di Westerhus alla chitarra, con linee chitarristiche confacenti appieno nel progetto; ma soprattutto la prova suprema degli altri componenti degli Ulver, Svaeren ed Ylwizaker, che producono effetti irresistibili, come irresistibile è il loro modo di approcciare il palco e gli strumenti, assolutamente in sintonia con la musica prodotta e calati pienissimamente nella parte. Movimenti ritmati e continui sui propri synth, drum-machine e percussioni, in perfetta simbiosi con lo stato d’animo del pubblico, assolutamente appagato, per finire poi di essere rapito da quel tunnel sonoro che, dal vivo, è “Coming Home”, ultima traccia dell’album, che si veste di una coltre psichedelica da batticuore, e lasciandoci viaggiare con la mente e con il corpo. In tutto questo scenario musicale imperdibile, una parte sostanziosa, per non dire fondamentale, l’ha fatta la scenografia esclusivamente appannaggio di giochi laser che si fiondano in maniera impetuosa intorno al palco, e verso il grande pannello posto in fondo, producendo disegni molto ben ideati e disegnati che si sposano idealmente alla musica degli Ulver. Tutto questo oltre, ovviamente, ai laser puntati verso la platea, che come un tetto sopra la testa ricopre il pubblico di colori e di sogni ad occhi aperti. Il bis di una serata encomiabile, a tratti memorabile, è affidato ad un must della musica anni ’80, “The Power of Love” magistralmente reinterpretata dal combo scandinavo con Kristoffer ancora una volta sugli scudi. Un’ora e mezza di musica globalmente emozionante, che ti fa librare verso l’infinito, grazie ad una band che come poche riesce ad essere sempre credibile nella loro stravolgente evoluzione e nei loro cambiamenti quasi continui. E pensare che, agli inizi di carriera, suonavano folk-black metal anche piuttosto spinto ed aggressivo. Ed ora suonano la wave più bella che c’è, quella wave che neanche i Depeche Mode riescono a fare con la stessa qualità ed ispirazione di un tempo.
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