THE OCEAN
Cielo terso, forte vento e pioggia scrosciante ammantano la Capitale in questa domenica di novembre per accogliere i tedeschi The Ocean nella tranche italiana della propria tournée... e al di là degli ovvi fastidi che tali condizioni atmosferiche recano ai metalheads in trepidante attesa, non si può negare che questa sia una cornice perfettamente consona al concept generale di una band in costante ed inarrestabile ascesa, che dona alla visione d'insieme e ad un occhio attento e proiettato oltre il mero aspetto superficiale una connotazione fascinosa e, in un certo qual modo, quasi poetica. Fermo sulla soglia d'ingresso immerso in tali profonde considerazioni ed in contemplazione di un cielo generoso di freddi ed umidi umori, vengo riportato brutalmente alla realtà dalla folla chiassosa che comincia a riempire il locale in attesa dei propri beniamini: c'è da dire che per questa serata il Traffic ospita un bill di assoluto rispetto, costituito da compagini agguerritissime e di riconosciuto valore mondiale che fanno sì che la location si riempia in men che non si dica in ogni ordine di posto. Neanche il tempo di dare una occhiata agli stand ufficiali delle band e immediatamente salgono sul palco, in perfetto orario, i francesi Hacride che (dopo un veloce soundcheck) danno fuoco alle polveri e mettono subito le cose in chiaro: in questa domenica di novembre non ce ne sarà per nessuno e non si faranno prigionieri. Come prevedibile, l'onore di aprire le danze spetta ad "Introversion", monolitica song apripista del fresco di stampa 'Back To Where You've Never Been', disco che inaugura il contratto con la Indie Recordings, seguita senza sosta alcuna dal singolo "Overcome" e da una manciata di brani altamente incendiari e carichi di groove che, nell'arco di appena mezz'ora, demoliscono tutto quel che si trovano avanti, forti di una prestazione superlativa dei singoli e di suoni mastodontici e potentissimi che fan passare in secondo piano il fatto che a suonare sul palco ci sia una sola chitarra. Purtroppo il tempo è tiranno ed è già ora di chiudere: per tale gravoso compito viene scelta "My Enemy" dal precedente e fortunato 'Lazarus', song mastodontica di quasi dieci minuti che saluta a dovere tutti gli astanti ancora rapiti dalla maestria di questi quattro ragazzi che avrebbero meritato una posizione migliore in scaletta, o comunque un minutaggio più elevato. Ma si sa, spesso purtroppo bisogna accettare queste ed altre situazioni se si vuol diffondere sempre più la propria musica, non importa da quanto sei sulle scene o quanti album hai pubblicato. Un pensiero espresso anche, poco prima della successiva band, dal batterista Florent Marcadet in una nostra piacevole chiacchierata tra connazionali. But the show must go on e quindi, dopo gli obbligatori complimenti e saluti, ci apprestiamo ad assistere alla performance dei polacchi Tides From Nebula, fautori di un post rock strumentale altamente psichedelico che, ad onor del vero, alla lunga risulta un po' fuori contesto, inglobato com'è da act minacciosi e potentissimi come i loro compagni di tour. Ma questo non intimorisce affatto il quartetto di Varsavia e, anzi, fa sì che la band tiri fuori il meglio di sé riuscendo a rapire tutti i presenti in sala grazie ad un perfetto mix di atmosfera, potenza e tecnica, quasi a voler concedere al pubblico la possibilità di prendere un lungo respiro prima dell'immersione nella seconda parte della serata. Seconda parte che letteralmente esplode in tutta la sua irruenza, complici i norvegesi Shining (da non confondere con gli omonimi svedesi black metal): si capisce subito che questi ragazzi godono di un vasto seguito questa sera, il pubblico è tutto accalcato in sala e pende letteralmente dalle labbra di Jorgen, fascinoso leader, vocalist e polistrumentista del combo, che ci spiega (prima di dare il via all'esibizione) i vari problemi (fregature, più che altro) riscontrati con i promoter torinesi all'arrivo nel nostro Paese il giorno prima. Ma questo non impedirà comunque loro di radere tutto al suolo con una disinvoltura e maestria impressionanti, sulla scorta di brani folli e geniali, trascinanti, ipertecnici e catchy al tempo stesso quali "I Won't Forget", "Helter Skelter", "The Madness And The Damage Done", "Exit Sun" e raggiungendo l'apice assoluto di partecipazione del pubblico con la fantastica e coinvolgente "Fisheye", in un allucinante mix di jazz, Marilyn Manson, The Dillinger Escape Plan e Nine Inch Nails. Una vera ed inarrestabile furia della natura, i norvegesi, che pongono fine alle ostilità con la loro stravolta e delirante versione di "21st Century Schizoid Man" dei King Crimson, lasciando l'intera platea totalmente estasiata e soddisfatta da una performance mostruosa come poche. Finalmente, tributate le dovute ovazioni ai norvegesi, le centinaia di metalheads presenti sciamano per tutta la venue, equamente suddivisi tra chi è alla ricerca di ristoro e chi, invece, di cd e gadget vari, dando così modo alla crew dei The Ocean di approntare al meglio il palco per l'attesissima esibizione. E l'attesa è ampiamente giustificata, vista la progressione aritmetica di una band eccezionale che con ogni uscita tocca punte di eccellenza sempre più elevate, spaziando tra vari generi e riuscendo sempre ad evocare scenari sonori superlativi di pari passo con le tematiche affrontate di volta in volta. Il soundcheck finalmente è quasi terminato (a farla da padrone, per la prova microfoni, è stato il porcellino di gomma che tanto successo ha avuto col suo divertentissimo grugnito nel Bel Paese negli ultimi anni, ma evidentemente scoperto solo oggi dall'entourage della band con effetti sul pubblico che vi lasciamo tranquillamente immaginare) e il quintetto di Berlino è pronto a dar battaglia. L'intro "Epipelagic" ci annuncia la riproposizione integrale dell'ultimo fortunatissimo 'Pelagial' e ci accompagna con delicatezza verso quello che sarà, di lì a poco, un viaggio emozionale senza pari, caratterizzato da un rapporto empatico tra band e pubblico da brividi. "Mesopelagic: Into The Uncanny" irrompe in sala e mostra una formazione in grande spolvero, oltre che suoni devastanti e nitidi come non mai, ad eccezione della voce il cui volume spesso è sovrastato dal resto degli strumenti, ma qui si tratta di dettagli pressoché insignificanti, perché Loïc Rossetti si renderà protagonista di una performance fisica e vocale pazzesca, terremotante ed incontenibile. Un pazzo furioso, il vocalist di origini francesi, che non lesina certo nell'intrattenimento, saltando ovunque gli riesca, scendendo tra i fan e facendosi issare a più riprese per aggrapparsi ed appendersi alla struttura portante dell'impianto luci a soffitto: urla, canta, offre il microfono sotto palco, poga con noi, risale sul palco e poi di nuovo stage diving. Non riesce proprio a stare fermo (senza per questo intaccare minimamente il suo rendimento vocale) e noi, vista la potenza del suo cantato senza mai un calo di tono, ci chiediamo sbalorditi dove un ragazzo così esile riesca a trarre tali e tante energie. I momenti di massimo delirio e trasporto si registrano con la già citata "Mesopelagic: Into The Uncanny" e con la devastante "Bathyalpelagic: Disequilibrated", brano tra i più violenti mai composti dal combo, in cui esplode un pogo infernale scatenato proprio dal singer Rossetti, ma il culmine dell'intera serata si manifesta col ritorno on stage della band per i consueti bis, dove i The Ocean ci omaggiano di due tra le loro più belle song in assoluto, ovvero la melodica "Firmament" e la sconquassante "The Grand Inquisitor II: Roots & Locusts", tratti rispettivamente da 'Heliocentric' e 'Anthropocentric', entrambi datati 2010. Finale migliore non potevano regalarci, complice un ensamble in splendido stato di grazia, col leader Robin Staps a tenere saldamente le redini affiancato dal fido Johnatan Nido (rima non voluta, sorry) all'altra chitarra, altro componente dall'elevatissimo tasso tecnico e anch'esso inarrestabile sotto l'aspetto scenico, andando spesso e volentieri ad ergersi sulla cassa della batteria come a voler sovrastare, oltre che col suono, anche fisicamente l'intera platea. Siamo ormai agli sgoccioli: le ultime note dell'ultima song deflagrano quasi a voler dare il colpo di grazia ai nostri già provati padiglioni auricolari e, all'improvviso, cala definitivamente il silenzio in sala, rotto solamente dall'ovazione del pubblico verso un act che, nonostante il pessimo trattamento da parte dei promoter di Torino la sera prima (la solita storia, che tristezza...), ha dato comunque il sangue per i propri fan, senza mai risparmiarsi ma anzi, felicissimi, soddisfatti e fomentati proprio dall'ottima ed impeccabile organizzazione della No Sun Music e dall'enorme calore da noi riservatogli questa sera. Se non è professionalità questa... La nottata giunge infine al termine e, dopo svariate foto ricordo, piacevoli chiacchierate e scambi di opinioni con Jona Nido e Loïc Rossetti ed i ringraziamenti di rito, lasciamo che le band si rintanino nei rispettivi tour bus per il meritato riposo: li attende un lungo viaggio alla volta di Lubiana (Slovenia) per la successiva tappa del tour. Mai serata di pioggia fu più corroborante di quella appena trascorsa...
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