MONO

Reduci dal concerto di due anni fà al Circolo degli Artisti di Roma dove eravamo rimasti letteralmente estasiati, catturati dal loro post rock tsunamico, i Mono tornano dal Giappone con un grosso gong che campeggiava sul palco dietro le loro spalle, a testimoniare la loro provenienza; nessuna concessione allo spettacolo o all’interazione con il pubblico, solo fiumi di note in piena, di saliscendi cromatici, di crescendo vigorosi e vulcanici. Il numeroso pubblico accorso ha fatto si che i due chitarristi seduti sul palco non fossero visibili (la legge di Murphy ci perseguita: ad ogni concerto che andrai, ci sarà sempre un colosso davanti che ti oscurerà il palco), ciò che rimaneva in vista era la bassista (che fa pure rima). Il muro sonoro e la saturazione melodica dei suoni in un crescendo di emozioni rapiscono e trasportano vorticosamente in luoghi lontani tutti i presenti. L'estrema similitudine dei brani presentati, alcuni con intro di xilophono, altre con il piano, seguite da un suono di chitarra simili al riffing di mandolino napoletano elettrificato che lentamente cresce fino a ricreare una muraglia di post rock al rumor bianco ha dato la sensazione di aver assistito, per tutta l’ora e mezza di concerto, ad un unico grande movimento; come un concept di pura malinconica emozion, su cui ci si adagia, lasciandosi trasportare sulle rive di luoghi e terre a noi ignote.