DOOM OVER BRIXIA
Si aggira del piombo fuso nell’aria, viaggiando verso il Circolo Colony di Brescia, e il suo odore diviene sempre più pungente addentrandoci nel locale, nella serata di sabato 25 marzo, che celebra la nuova edizione del Doom over Brixia, un evento per persone vere, che assaporano il metallo che non si scalfisce mai, e che nelle loro vene scorre acciaio puro con una fluidità ed una cattiveria encomiabili. La gente che è accorsa durante la serata è bardata a dovere, ed il nero incombe come un alone perenne. Inoltre, reputo entusiasmante la presenza di considerevoli bancarelle e scatoloni di CD e vinili in vendita, che sicuramente ha attirato l’attenzione degli appassionati, e non resistendo quindi alla tentazione di svuotare i portafogli per accaparrarsi interessanti pubblicazioni metalliche presenti in tutto il loro splendore. Sul versante live, che è quello che più ci interessa, la serata si fa ancora più succulenta perché, oltre alla partecipazione di realtà metalliche nostrane di sicuro affidamento, il ruolo di protagonisti viene impersonificato nel sacro nome degli svedesi Candlemass, un’istituzione incontrastata ed incontrastabile del doom metal mondiale, che l’anno passato hanno festeggiato i 30 anni dalla pubblicazione di quel monolite immenso che è ‘Epicus Doomicus Metallicus’, e che continua a dettare legge con l’apporto alla voce di quella gran bella ugola che è Mats Leven. La serata è lunga, e prima delle icone svedesi calcheranno il palco del Colony ben cinque band, che riassumiamo di seguito con piacere.
Iniziano la sarabanda doom i napoletani NAGA, autori di due album di qualità sopraffina come ‘Hen’ ed ‘Inanimate’, quest’ultimo stampato in versione CD proprio in vista di quest’importante evento. Il trio partenopeo fa capire che le loro intenzioni sono molto chiare: suonare un doom che sia il più penetrante possibile, e la band ci è riuscita appieno, sfoderando pesantezza a vagonate e ritmiche pesanti come macigni. Spazio prevalente viene dato ad ‘Inanimate’, dove spicca l’interpretazione della bellissima “The Loner”, espressiva come non mai. La voce del capelluto Lorenzo è pregna di acidità sludge che corrode anche i muri, e le ritmiche di Emanuele e Dario sono costanti al limite dell’ossessivo. È iniziato il Doom over Brixia, ed è subito piena convinzione.
Si passa poi ad un doom con venature più stoner quando salgono sul palco i catanesi Haunted, che con il loro fumante esordio omonimo, oggetto di recensioni molto positive, hanno fin da subito solcato terreni interessanti da percorrere e setacciare. E si dimostrano anche qui a Brescia particolarmente possenti ed accattivanti, con quell’incedere che ricorda non poco i Witch Mountain. Dalla transenna si percepiscono piuttosto bene gli elementi strumentali e il percorso tortuoso che essi fanno, un po’ meno purtroppo la voce di Cristina Chimirri, la quale sfodera una prestazione tutta vigore e sudore, e sicuramente interessante dal punto di vista vocale, benché sia stata spesso avvolta dai volumi sostenuti dei suoi compagni. Per quello che si è riuscito a percepire dalle sue corde vocali, è sembrato avere a che fare con soluzioni vicine a quelle di Emily Kopplin dei Mount Salem, ma leggermente più energica e sanguigna. È una band da tenere in considerazione, perché sicuramente si fanno valere.
Dai nomi di epoca più contemporanea, si passa ora ad una band che negli anni è diventata di culto, per le loro idee, per la loro forma espressiva e per la creazione musicale che racchiude non solo doom, ma anche rock ed heavy metal di stampo più classico e virtuoso. La combo originaria della Puglia dell’Impero delle Ombre si caratterizza subito per il loro cantato in italiano, sapientemente sfoggiato da “John Goldfinch” Cardellino, per l’occasione munito di un ragionato face painting e di catene alle braccia in cui prova a liberarsene con la forza della musica. In più di vent’anni di carriera L’Impero delle Ombre ha dato alle stampe solamente due album, ma sono sufficienti per capire la caratura della band, come dimostra anche l’affetto di una parte del pubblico assiepato di fronte al palco. Il loro metal è, come detto, creativo, che alterna momenti più possenti a soluzioni più rarefatte, ma sempre con un gusto davvero all’altezza. “Goldifinch” si destreggia come meglio non potrebbe, e suo fratello Andy alla chitarra ci propone una prestazione sopraffina, sfoggiando riff di grande qualità ed impatto. L’ingresso recente di Michele Ercolano alla batteria ha dato quel tocco rude e metal in più che rende più sostenuto il tutto. Anch’essi autori di una prestazione soddisfacente.
E si continua inesorabilmente ad alzare di livello la serata con l’ingresso in campo degli Shores Of Null, che piazzeranno a breve il seguito di ‘Quiessence’, preannunciandosi come uno dei lavori di genere più attesi dell’anno. Il loro show è assolutamente tellurico, considerevolmente incisivo e che non lascia spazio a pause inutili. La concretezza a livelli estremi. Davide Straccione ci porta in territori oscuri inebriati dalla nebbia degli Appennini lacerandoci con le sue sferzate vocali. Se i brani di ‘Quiessence’ sono estremamente convincenti, i brani tratti dall’imminente ‘Black Drapes For Tomorrow’ sono imperniati da una potenza che dire devastante è un eufemismo: sono diretti, continui, si dirigono dritti come dei panzer incazzati, in pratica ci lasciano senza scampo. Una grandiosa performance per una tra le band doom più importanti italiane, detentrici di una classe musicale che fa paura a tutti.
Con i finlandesi Hooded Menace si toccano forse le punte più estreme dell’intera serata bresciana. Il loro doom si avvicina molto verso dimensioni più prettamente death, e lo si nota fin da subito da ritmiche funeree e dal growl catacombale del forzuto Harri Kuokkanen, da poco al microfono del combo finlandese, che si dimostra tanto minaccioso quanto passionale nella sua interpretazione. Il suo sudore è continuo nei suoi perenni movimenti, e scenicamente fa la sua più che onesta figura, imperversando sguardi fulminanti verso le prime file. I suoi compagni incapucciati alle asce dettano ritmi che trasudano negatività a cascata, e dopo una prima parte densa di doom/death difficile ma tutto sommato interessante, ecco che arriva “Elysium Of Dripping Death”, che purtroppo taglia le gambe; un brano talmente lento e funereo che sembra non terminare mai, e che (almeno al sottoscritto) fa calare molto l’interesse nei loro confronti, nonostante rimanga comunque un po’ di passione in alcuni loro fans. I brani finali fanno ritornare al doom/death dell’inizio, ma non riescono a far riemergere una prestazione che è stata sì intensa, ma decisamente troppo ostica soprattutto per chi non mastica e non digerisce a sufficienza sonorità provenienti dai più reconditi bassifondi.
La densità di pubblico assiepata davanti al palco fa intendere che questa sarà una serata solenne, di quelle che non capitano spesso. La tensione si fa palpabile, e il profumo di sudore diventa penetrante e denso. Si libera il palco per i paladini dell’epic doom mondiale, e subito scopriamo una sorpresa. Al basso troviamo Per Wiberg, attualmente alle prese con le parti tastieristiche dei Candlemass, ed in passato in forza soprattutto in rinomate band svedesi come Spiritual Beggars ed Opeth del periodo che intercorre tra ‘Deliverance/Damnation’ e ‘Watershed’. E quindi, se al basso c’è Per Wiberg, vuol dire che non c’è Leif Edling, il fondatore dei Candlemass, e indiscutibilmente tra i musicisti più rispettati del panorama doom. Per rendere davvero perfetta questa serata, sarebbe stata piacevole la sua presenza, nonostante attualmente sia impegnato con la sua nuova creatura The Doomsday Kingdom e sia ancora dietro le quinte per l’imminente nuovo album degli Avatarium. La presenza alle chitarre di ‘Mappe’ Bjorkman e di Lars Johansson compensano in parte l’accaduto, ma è con l’ingresso di Mats Leven che si scatena il boato. Si inizia con “Born In A Tank”, che si rivelerà essere il brano più recente dell’intero lotto insieme ad “Emperor Of The Void”, dato che verranno sciorinate chicche dal loro più fulgido passato, quello con Langqvist e Marcolin alla voce per intenderci. Nonostante dalla transenna la percezione non è ottimale, si sente comunque che la voce di Leven è assolutamente all’altezza e che si dimostra limpida, oltre ad accaparrarsi la scena sporgendosi spesso e volentieri verso il vicinissimo pubblico che lo idolatra. Le musiche ed i ritmi sono da subito possenti e che lasceranno presagire che sarà una performance che non lascerà scampo alcuno. “Dark Reflections” ci riporta indietro ai tempi di ‘Tales Of Creation’, ai tempi in cui la band di Stoccolma era all’apice del loro successo. Johansson si dimostra assolutamente presente e ficcante nei suoi riff, e con una serietà di cui provare solo rispetto. Anche Wiberg fa il suo lavoro con ampia professionalità, supportato dalle ritmiche marziali di Lindh alla batteria e dalla chitarristica di Bjorkman. E si sale di livello con “The Well Of Souls”, che apre il capolavoro ‘Nightfall’ (elogiato recentemente nella sua interezza durante il Netherland Deathfest) e che fa scatenare il delirio tra le prime file. È un continuo crescendo questo show, non si nota assolutamente nessun punto debole, nessuna flessione tra i musicisti. “A Cry From The Crypt” è cantata a squarciagola dal pubblico, e sostenuta appieno dall’ugola di Leven il quale, non a caso, sfoggia una t-shirt che celebra proprio ‘Ancient Dreams’ da cui è tratto il brano.
Ed ora, si passa nella storia e nel delirio più eccitante ed assoluto. Dapprima la solenne ed epica “Crystal Ball”, con quel ritornello che trasuda fulgore da tutti i pori, e poi soprattutto “At The Gallows End” fanno sobbalzare i fan che fanno rischiare l’incolumità alla gente in prima fila (compreso il sottoscritto). L’attacco di ritornello di batteria dell’ultimo brano citato è un richiamo alla violenza più devastante, gli headbanging si producono a profusione continua, e le vertebre cervicali vengono messe a dura prova da un brano che live è ancora più devastante. Dopo la meritata pausa per ricaricare le batterie, ecco un’altra micidiale doppietta: “Mirror Mirror” dove Leven tiene assolutamente testa alle creazioni di ugola di sua maestà Messiah Marcolin, e poi la sempreverde “Bewitched”, gridata a più non posso dal pubblico. E si chiude con il disperato inno “Solitude”, tra i brani immortali del doom metal, intepretata con una solennità da lasciare senza fiato, e chiudendo uno show che nella sua ora e mezza ha sicuramente lasciato il segno tra i presenti, e candidandosi seriamente nella lista dei live dell’anno, anche per il fatto che sarà sempre più difficile riuscire ancora i Candlemass dal vivo in Italia. È un peccato che la band continui a non avere intenzione di pubblicare album sulla lunga distanza, perché le sensazioni lasciate dall’ultimo EP ‘Death Thy Lover’ sono comunque positive, anche se va su sonorità non così profonde come in passato, e dimostrando che la band sa ancora il fatto suo in maniera ampia. Fatto sta che ci si ritrova sudati ma felicissimi, si ritorna a casa con un bagaglio colmissimo di felicità musicale e di gioia profonda.
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