DEVIN TOWNSEND PROJECT + ANATHEMA
E' vero. I week-end d'estate, soprattutto quelli sovrastati dal caldo asfissiante che nelle grandi città opprimono noi comuni mortali, sono fatti per poter permettere alla gente di spostarsi verso le maggiori località turistiche, di mare, montagna o lago, alla ricerca di qualche sprazzo di relax, di rigenerazione psico-fisica, e anche di svago come alternativa alla routine quotidiana. Diverso è il discorso da affrontare quando una porzione di questa popolazione vive, convive ed ha a cuore la buona musica, e quindi perdersi un concerto come quello svolto al Fabrique di Milano, sabato 18 luglio, sarebbe stato quanto meno delittuoso, data anche la particolare circostanza e la proposta artistica ai limiti del sogno musicale. Infatti, non a caso la serata del Fabrique è stata denominata "A Midsummer Dream. A Night with Devin Townsend Project and Anathema". Una persona come il sottoscritto non si sarebbe mai e poi mai permessa di lasciarsi sfuggire un evento di tal fatta.
In un Fabrique non particolarmente gremito, verso le 20 e qualche minuto, salgono sul palco i primi protagonisti della serata, ovvero i britannici Anathema, accolti con passione dal pubblico. L'inizio è affidato ad alcuni tra i pezzi più importanti tratti dagli ultimi tre album di inediti; da "Anathema" a "The Lost Song #1", passando per le stupende "Untouchable #1" e "Thin Air", si nota la band in buona forma, in particolare il frontman Vincent Cavanagh, che cerca di catturare l'attenzione col suo sguardo carico di pathos, ed autore di una prestazione musicale di prim'ordine, e il fratello Jamie al basso (anzi, sarebbe meglio dire il factotum Jamie al basso, dato che prima e dopo l'esibizione si è sbattuto parecchio a preparare il set sul palco), sempre ben concentrato e stimolato durante i vari pezzi, e destreggiandosi scenicamente in maniera decisa col batterista Daniel Cardoso. Di contro invece si trova un Daniel Cavanagh alla chitarra piuttosto appesantito rispetto all'ultima calata italica dello scorso ottobre all'Alcatraz di Milano, ed anche dal punto di vista musicale non è sembrato proprio inappuntabile; di tanto in tanto ha dovuto avere a che fare con accorgimenti tecnici alla sua chitarra che ne hanno minato la sua performance.
Tornando alla prima parte dell'esibizione bisogna dire che, nonostante l'impegno profuso, i brani di cui sopra non sembrano aver emanato quella particolare emozione che invece possiedono e che vengono ulteriormente accentuati in sede live, forse anche per una resa acustica ancora da perfezionare. La situazione migliora col passare dei brani, in cui Vincent sfodera prestazioni vocali di qualità eccelsa, accompagnato dalla sempre più solare Lee Douglas alla seconda voce, la quale spesso e volentieri, nelle parti più movimentate, non ci pensa due volte a ballare a ritmo dei pezzi con una bella disinvoltura, supportata da una forma fisica più che invidiabile. "The Beginning And The End" si rivela uno dei pezzi migliori della serata, con la voce di Vincent Cavanagh che raggiunge livelli da pelle d'oca; "Lightning Song" ha permesso di assaporare la classe sopraffina di Lee Douglas, e la conclusiva "Distant Satellites" riarrangiata per buona parte in stile quasi hard-rock, rispetto all'originale versione più orientata verso l'elettronica, si rivelano i capitoli migliori dell'esibizione, nel complesso molto buona, e che si è sviluppata con un ritmo crescente dal punto di vista delle sensazioni emotive.
Dopo lo show degli Anathema, sullo schermo vengono proiettate delle autentiche genialità che rivelano più di tutte la suprema goliardia dell'artista principale della serata, il canadese Devin Townsend. Tra fotomontaggi col faccione e le smorfie di Devin protagoniste, che spesso e volentieri hanno fatto sbellicare dalle risate il pubblico, e il piccolo cortometraggio con protagonista l'alieno Ziltoid (utilizzato nel corso del suo ultimo album "Z2"), si ha la sensazione che l'esibizione sia iniziata già durante la preparazione dello stage. E alla fine della proiezione inizia la parte prettamente musicale con la band di Devin che imbraccia gli strumenti e, con l'iniziale "Rejoice", creano le loro musiche a cavallo tra heavy metal e space-rock, in cui ovviamente fa capolino il frontman, ex leader degli Strapping Young Lad, che si presenta molto elegante e distinto, che saluta uno ad uno i suoi compagni in stile militare, accompagnato dalle sue originalissime chitarre piene di illuminazioni ed effetti speciali. Tra i membri c'è subito sintonia, e molto spesso i compagni di Devin si dimenano volentieri grazie ai ritmi molto sostenuti dei vari pezzi. Inutile discutere su chi sia il protagonista principale, che molte volte si è affacciato sull'estremità del palco a raccogliere il calore del pubblico con pose all'apparenza normali, ma che fotograficamente parlando fanno la loro gran bella figura.
E dopo un inizio caratterizzato dai primi due pezzi (il già citato "Rejoice" e "Night") in cui la voce di Devin era in fase di carburazione, e che sembrava far presagire addirittura ad una prestazione vocale abbastanza mediocre che avesse fatto da contraltare alla presenza scenica davvero ottima, arriva ad un tratto "Namaste". E sono sassate sui denti. L'headbanging si è sviluppato dal primo all'ultimo secondo, e quel pezzo è stata la scintilla che ha fatto innescare il motore Devin Townsend Project. Da lì in avanti la prestazione musicale è stata pressoché ineccepibile, con la voce di Devin che tra parti pulite e parti scream si è ripulita e affinata, ed è stata davvero da sottolineatura da rimarcare decine di volte, al punto da far consumare foglio e matita. E la sua voce è stata accompagnata dalle ritmiche incessanti degli altri componenti, in particolare la batteria di Ryan Van Poederooyen, davvero martellante ed incessante, che ha tenuto alta l'attenzione durante tutto lo show, sia nelle parti più heavy metal (a tratti quasi vicine al thrash), sia nelle sezioni più atmosferiche, in cui hanno giocato la parte del leone anche la chitarra di Dave Young e le tastiere con synth incorporato di Mike St.Jean. E se fossero state inserite anche le parti vocali, quantomeno registrate, ad opera di Anneke Van Giersbergen in pezzi come "Grace!" e "Supercrush!", si fatica ad immaginare l'esplosione di gioia. Ma a questo punto si chiede davvero troppo...
Show davvero ottimo, forse anche migliore di quello precedente degli Anathema, con Devin Townsend sempre cordiale, sorridente e dalla loquacità quasi imbarazzante.
Facendo i conti finali, un'ora scarsa di esibizione per gli Anathema, e un'ora e mezza scarsa quella del Devin Townsend Project. Qualche minuto in più da ambo le parti non avrebbe fatto male, e avrebbe permesso di inserire qualche pezzo di punta di entrambe le bands. Per esempio, salta all'occhio la mancanza di "Fragile Dreams" degli Anathema, forse memori della scialba esibizione all'Alcatraz ad ottobre 2014; piuttosto che pezzi come "Regulator" e "Bad Devil" di Devin Townsend, che avrebbero permesso di completare al meglio uno show già di per sé ottimo. L'importante è che il pubblico presente si sia divertito. Per le gite al mare c'è ancora tempo.
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