BATUSHKA + ARKONA
Il Revolver Club di San Donà di Piave (VE) è sempre stato uno dei pochi locali veneti dove trovo ogni volta il piacere di ritornare: accogliente, non troppo dispersivo, buona birra e ottimi spuntini veloci, suoni fatti bene e buon service luci, ma soprattutto l’impeccabile gentilezza ed accoglienza dello staff. Il tour dei Batushka “European Pilgrimage tour 2017 part I” purtroppo tocca solamente due città del nord Italia, e per questo primo tour ce le facciamo bastare. Nessuna band d’apertura per questa data ed il locale è decisamente gremito di gente quando sale sul palco il quartetto polacco degli Arkona.
Possiamo ben dire di trovarci di fronte ad una band che sin dal 1993 sorregge a piene mani il peso di aver contribuito alla nascita del Pagan Black Metal polacco legato al circuito “Temple of the Fullmoon” assieme ai primi Behemoth, Graveland, Fullmoon, Dark Fury, Werewolf etc. La loro lunga carriera vanta ben sei full-lenght, in cui hanno cercato di volta in volta di trovare e far emergere un loro sound distintivo, riuscendoci esaurientemente con 'Lunaris', il loro ultimo lavoro uscito l’anno scorso, il quale gli ha permesso di entrare nel roster della label francese Debemur Morti Production, cui vanta band di un certo calibro, tra i più importanti citiamo Akhlys, Archgoat, Blut aus Nord, Horna, In the Woods, October Falls e Peste Noire.
Fin dai primi pezzi con cui il combo di Perzow ci delizia le orecchie, è perfettamente tangibile la loro maturità, si tratta di un black metal di matrice oscura, graffiante, potente, ma anche compatto ed efficace, che risucchia l’attenzione degli astanti senza chiedere il permesso a nessuno. La loro forza permea nell’immediatezza della fruizione, calando lo spettatore in un'atmosfera ammorbante e tenebrosa generata da drumming incessanti ed implacabili, e riffing veloci ed abrasivi in puro stile old school. Se in studio sono accattivanti, sul palco sono un vero e proprio uragano demolitore, ovviamente per chi ne sa apprezzare il genere e lo stile. Lo show degli Arkona ha quindi scaldato per bene l’atmosfera del Revolver per poi lasciare il palco agli headliner della serata.
Durante l’attesa vediamo che a poco a poco il palco assume una scenografia particolare, ci accorgiamo ben presto che è diventato un pulpito sacrale, ma la messa che sta iniziando non è quella provvidenziale a cui siamo abituati. Prima che il rituale inizi, soffermiamoci un attimo. I Batushka sono un progetto che gioca a scacchi con l’interlocutore attanagliato dal dubbio vacillante di qualsivoglia fede, sfruttando l’espediente di attingere all’ortodossia dell’Europa Orientale imperniata di dogmi, reclamando sangue e obbedienza, portando sui palchi le iconografie bizantine e ricreandone il rituale magico.
La linea trasversale dei nostri di Bialystok è tesa quindi a destabilizzare la peculiare tradizione ortodossa attraverso il culto del caprone e la bestemmia, giungendo alla salvezza attraverso il male. Iniziamo col dire che le vere menti dei Batushka sono tre professionisti polacchi, si vocifera ci possa essere un musicista dei Mgla all’interno, quella di nascondere l’identità ed il volto è cosa già risaputa nell’universo occulto. Ciò che realmente sappiamo è che si presentano come l’esatto opposto del gruppo che li ha preceduti. Se gli Arkona hanno raggiunto un contratto dopo una certa gavetta, i Batushka fanno uscire un unico album senza indugi subito sotto la Whitching Hour Production (Azarath - Besatt - Naer Mataron), ed a poco più di anno dalla sua uscita, eccoli immersi in un interessante tour europeo.
Un solido prodotto ben sfornato e curato, volto a inglobare in un sol boccone realtà più radicate come Mgla, Acherontas, Cult of Fire. Diamo in ogni caso a Cesare ciò che è di Cesare: il black ed il doom metal qui trovano un connubio “assoluto”, il marchio di fabbrica del black polacco è ancora saldamente ancorato a riffing tremoli e blast-beat veloci, mentre il suono dei Batushka si rivela notevolmente atmosferico e rituale. Entriamo quindi nel vivo della loro performance, l’entrata dei sacerdoti incappucciati è solenne e cala un’atmosfera cupa e malvagia nel locale. I saji dei nostri sono una rivisitazione delle vesti papali mescolati a quelle delle classiche sette esoteriche, neri come la pece e coperti da sigilli e simboli rigorosamente bianchi per contrastarne la chiarezza e la durezza. La disposizione è marcatamente da cerimonia religiosa, tre coristi nella parte sinistra del palco, il cantante nel mezzo rappresenta il sacerdote, il resto dei musicisti intorno ad esso fungono da ministranti.
A centro palco ben piazzato nel leggio del pulpito è il quadro incorniciato della copertina dell’album ad incensare le intenzioni blasfeme della band. Una benedizione agli astanti con vero l’incenso cerimoniale apre le porte a ritmiche cupe e parti serrate; riffing roboanti, pesanti, tremoli e malvagi, con stacchi tipici scandinavi; uno streaming acido, arie liturgiche, solenni, austere, mistiche, armoniche, ecclesiastiche, corollate incessantemente da canti e cori gregoriani in stile ortodosso; campane a tratti delicate e a tratti risolute, partiture e pennellate di matrice black alternate a passaggi opprimenti di stampo doom.
Una musica profonda, maestosa, un eccentrico rito ortodosso, le canzoni si susseguono con un costante filo conduttore, le otto “Yekteniya”, ovvero le otto litanie (invocazioni di supplica a Dio proclamate dall’officiante), sono così suonate esattamente come nell’album 'Litourgiya', in greco lo tradurremmo come “messa/rituale”, ma per paradosso in slavonico antico il suo significato si svela totalmente attraverso la “blasfemia”. Esattamente un continuo Yin & Yang sapientemente progettato, un concerto imperniato sulla teatralità e l’evocazione, non di certo innovativo, ma raffinato e curioso, che vale la pena vedere indubbiamente.
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