MYRKUR: Spine
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10/11/2023Quarto capitolo nella saga della polistrumentista e cantante danese Myrkur, al secolo Amalie Bruun, che succede all'acclamato ed epico 'Folkesange' del 2020 con il quale aveva segnato un punto di svolta alquanto decisivo rispetto ai primi lavori, pensiamo all'iconico 'Mareridt', incentrati su sonorità più tipicamente black metal. Album segnato dall'esperienza della maternità che ha dato modo alla Bruun di attraversare e sperimentare in prima persona un periodo turbolento di forte cambiamento, nel quale la componente emotiva ha dato nuovo impulso creativo sul piano artistico nella ricerca di sonorità più di ampio respiro e senza vincoli di genere. Il concept che lega insieme le nove tracce del platter è il concetto di "connessione" che vede la sua declinazione più profonda nel rapporto madre-figlio, calato in un contesto umano e sociale sempre più alienante e disumanizzato; potremmo pensare un po' alla filosofia orientale dello Yin e Yang. La costante rimane la voce incontaminata e sensibile della Bruun, sintonizzata perfettamente su un ampio spettro emotivo che va dal dolore alla angelica beatitudine, regalandoci momenti di malinconica e dolce intimità. Le influenze stilistiche sono le più varie, orientate verso il folk nelle varie declinazioni; da quello più tipicamente nordico dell'intro "Balfaerd" a quello onirico e delicato della titletrack che ricorda artiste come Enya o Eivør ma che cova al suo interno il germe che rimanda alle sonorità più estreme, dove le chitarre balenano in un riffing ruvido e maestoso. "Valkyriernes Sang" è il brano che conserva di più le radici prettamente metal dei Myrkur, aprendosi con un turbinoso blast-beats accompagnato da una ritmica serrata delle chitarre che si intreccia, in contrapposizione, con una voce cristallina ed evocativa. L'artista danese gioca ad innestare gli elementi peculiari del sound primigenio dei Myrkur anche in composizioni di tutt'altra natura compositiva. Ne è l'esempio la malinconica "Like Humans", da segnalare come uno dei pezzi migliori dell'intero disco, che fonde l'anima folk al post-rock fino al turbinoso finale dove il drumming serrato e crescente la fa da padrone, o come in "Devil in the detail", ballata dal sapore gotico e mistico squarciata da un impeto sonoro sul finale. Sorprende ancor di più un brano come il singolo "Mothlike" all'interno del platter, a riprova che la Bruun intende esplorare tutti i possibili territori musicali (probabilmente incentivata da Randall Dunn, già produttore di Sigur Rós) cimentandosi in questa traccia con un genere che vira quasi verso il synthpop e nella quale gli arrangiamenti elettronici e i tappeti di tastiere sono posti in primo piano. E con "Menneskebarn", intima e materna nenia scandita con tutta la dolcezza che solo una madre può avere per il proprio figlio e che si fa testimone del miracolo della vita, si conclude il nostro viaggio che ci lascia qualcosa nel cuore e che ci lascia ancora sperare che forse "la bellezza salverà il mondo".
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