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DEVILDRIVER: THE FURY OF OUR MAKER'S HAND

data

27/06/2005
95


Genere: Metalcore?
Etichetta: Roadrunner Records
Anno: 2005

Dez Fafara è (ri)tornato. Anche se sarebbe un errore personificare i Devildriver esclusivamente con il carismatico singer italoamericano, è inevitabile che le attenzioni maggiori siano riservate a lui, cantore dei fondamentali Coal Chamber (rip) dagli insospettabili gusti estremi espressi con il debut della sua nuova band, i Devildriver appunto. L’omonima opera prima faceva intravedere influenze da tutte le parti: metal classico, nu metal, black, thrash, hardcore. Un crogiolo micidiale che pagava lo scotto di essere forse ancora privo di quell’alchimia che dovrebbe contraddistiguere le grandi band, ma che risultava convincente portando una ventata di freschezza inaspettata nello stagnante panorama musicale. Dopo appena un paio di anni trascorsi in giro per il mondo, ricordiamo tra le altre cose il tour di supporto agli In Flames, l’atteso seguito di “Devildriver” è qui promettendo sfaceli già dal pomposo titolo. La furia dovrebbe essere quella del nostro creatore, ma è chiaro che si tratta in realtà di quella della band. Non fatevi fuorviare dall’etichetta ‘metalcore’ appiccicata sotto il titolo della recensione; questo disco non ha poi granchè a che fare con tale genere ma può darvi al massimo le coordinate di partenza. Per capirci, i Devildriver sono metalcore come i Meshuggah possono essere thrash nell’accezione classica del termine. Il voto lo avrete probabilmente già sbirciato, ma non importa, perché è innegabile il fatto che “The Fury Of Our Maker’s Hand” sia un disco epocale e tra le cose più fresche e ispirate uscite negli ultimi anni; compresse in un’ora scarsa di durata troviamo sfuriate thrash di slayeriana memoria (“End Of The Line”, “Bear Witness Unto”) condite con un mood apocalittico che non smorza mai i toni donando ai pezzi un’atmosfera totalmente ‘in your face’, merito anche dell’eccellente produzione del mago Colin Richardson. Performance da incorniciare della band tutta alla mano, i brani papabili di citazione non si contano; il primo singolo “Hold Back The Day”, la malinconica “Sin & Sacrifice”, la marziale “Driving Down The Darkness”…ogni brano brilla di luce propria e meriterebbe un paragrafo a sé, come la doppietta di chiusura “Before The Hangman’s Noose” e l’anthemica title-track (brano costruito col cesello che non ha una sbavatura nemmeno a cercarla coi microscopi di CSI) che sigilla un disco perfetto sotto ogni punto di vista. Difficilmente si potrà fare di meglio in futuro, ma ora come ora questo non ha importanza, i Devildriver hanno per le mani qualcosa che allo stato attuale delle cose non ha avversari. E anche se li avesse, li umilierebbe con nonchalance. Da ascoltare una, cento, mille volte.

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